ABDALLAH, IL FUNAMBOLO *
di Jean GENET
( da “Il Funambolo e altri scritti” – ADELPHI EDIZIONI )
|
Genet & Abdallah
Un lustrino d'oro è un minuscolo disco di metallo dorato, con un foro al centro. Sottile e leggero, può galleggiare sull'acqua. A volte ne restano attaccati uno o due fra i riccioli di un acrobata.
L'amore - ma quasi disperato, ma pieno di tenerezza - che devi dimostrare al tuo filo avrà la stessa forza che il filo di ferro dimostra nel reggerti. Conosco gli oggetti, la loro malignità, la loro crudeltà, e la loro gratitudine. Il filo era morto - o se preferisci muto, cieco -, ora sei qui: vivrà e parlerà.
Tu lo amerai, e di un amore quasi carnale. Ogni mattina, prima di cominciare l'allenamento, allorché è teso e vibra, va' a dargli un bacio. Chiedigli di sorreggerti, e di concederti garretti eleganti e nervosi. Alla fine dell'esercizio, salutalo, ringrazialo. La notte, quando è ancora arrotolato nella sua scatola, va' a trovarlo, accarezzalo. E, delicatamente, posa la tua guancia sulla sua.
Alcuni domatori ricorrono alla violenza. Puoi cercare di domare il tuo filo. Sii guardingo. Come la pantera e - così dicono - il popolo, il filo di ferro ama il sangue. Ammansiscilo, invece.
Un fabbro - solo un fabbro coi baffi grigi e le spalle larghe può osare simili delicatezze - così salutava ogni mattina la sua amata, la sua incudine: «Eccoci di nuovo qua, bella mia! ». La sera, alla fine della giornata, la sua zampaccia la accarezzava. L'incudine non rimaneva insensibile, e il fabbro avvertiva il suo turbamento.
Il tuo filo di ferro, devi caricarlo della più bella espressione non tua ma sua. Capriole, salti, danze nel gergo degli acrobati: flic-flac, rondata, salti mortali, ruote, ecc. - ti riusciranno non perché sia tu a brillare, ma affinché un filo d'acciaio che era morto e senza voce possa alfine cantare. Come ti sarà riconoscente se in ogni figura sei perfetto non per la tua gloria ma per la sua. Fa' che il pubblico lo applauda pieno di meraviglia: «Che filo stupefacente! Come sostiene il suo danzatore e come lo ama! ». A sua volta il filo farà di te il più meraviglioso danzatore.
Il suolo ti farà vacillare.
Chi mai prima di te aveva intuito quale nostalgia sia racchiusa nell'anima di un filo d'acciaio di sette millimetri? E che lui stesso sapeva di essere chiamato a far rimbalzare, due tours en l'air con fouettés, un danzatore? Nessuno tranne te. Avverti dunque la sua gioia e la sua gratitudine. Non mi sorprenderei se camminando al suolo tu cadessi e prendessi una storta. Il filo ti reggerà meglio, più sicuro di una strada.
Facendo finta di niente ho aperto il suo portafoglio e frugo. Tra vecchie fotografie, buste-paga, biglietti dell'autobus usati, trovo un foglio di carta piegato su cui ha tracciato strani segni: lungo una linea retta, che rappresenta il filo, tratti obliqui a destra, tratti a sinistra - sono i suoi piedi, o meglio la posizione che dovrebbero occupare i suoi piedi, sono i passi che farà. E in corrispondenza di ogni tratto, un numero. Poiché compie ogni sforzo per introdurre il rigore, la disciplina dei numeri in un'arte che era soggetta soltanto a un allenamento rischioso ed empirico, non potrà che vincere. Che m'importa allora che sappia leggere? Conosce i numeri quel tanto che basta per misurare i ritmi e le cadenze. Calcolatore sottile, Joanovici era un ebreo - o un gitano - analfabeta. Durante una delle nostre guerre guadagnò una grossa fortuna vendendo rottami di ferro.
... « una solitudine mortale »... Al bar puoi scherzare, bere con chi vuoi, con chiunque. Ma l'Angelo si fa annunciare, devi riceverlo da solo. Per noi l'Angelo è la sera, scesa sulla pista sfolgorante. Non importa se, paradossalmente, la tua solitudine è in piena luce e l'oscurità formata da migliaia di occhi che ti giudicano, che temono e sperano che tu cada: danzerai al di sopra e al centro di una solitudine desertica, gli occhi bendati, se puoi, le palpebre sigillate. Ma nulla - soprattutto non gli applausi o le risate - ti impedirà di danzare per la tua immagine. Tu sei un artista – ahimè - , non puoi più sottrarti alla voragine spaventosa dei tuoi occhi. Narciso danza? Civetteria, egoismo, amore di sé - no, si tratta di ben altro. Forse della Morte stessa. Sii dunque solo quando danzi. Pallido, livido, ansioso di piacere o di non piacere alla tua immagine: ebbene, sarà la tua immagine a danzare per te.
(…..) Ovviamente non intendevo dire che un acrobata che opera a otto o dieci metri da terra debba rimettersi a Dio (alla Madonna, nel caso dei funamboli), e pregare e farsi il segno della croce prima di entrare in pista perché la morte è nel Circo. Parlavo all'artista soltanto, e al poeta. Se anche tu danzassi a un metro dal tappeto, la mia ingiunzione sarebbe la stessa. Si tratta, l'hai capito, della solitudine mortale, di quella regione disperata e fulgida in cui opera l' artista. Aggiungerò tuttavia che devi rischiare una morte fisica definitiva. Lo esige la drammaturgia del Circo. Insieme alla poesia, alla guerra, alla corrida, è uno dei pochi giochi crudeli che siano rimasti. Il pericolo ha una sua ragione d'essere: forzerà i tuoi muscoli alla precisione assoluta - giacché il minimo errore significherebbe una caduta, e dunque menomazione o morte -, e questa precisione sarà la bellezza della tua danza. Prova a pensarci: un inetto fa il salto mortale sul filo, lo sbaglia e si ammazza, il pubblico non è poi così stupito, se lo aspettava, quasi ci sperava. Ma nella tua danza ci sarà tale bellezza, tale purezza di gesti che apparirai prezioso e raro, e quando ti preparerai al salto mortale il pubblico si allarmerà, quasi si indignerà che un essere così grazioso rischi la morte. Poi il salto ti riesce e ricadi sul filo: gli spettatori ti acclamano perché la tua destrezza ha salvato un danzatore unico da una morte impudica.
(…..) Gli racconto di Camilla Meyer - ma vorrei anche dirgli chi fu quello splendido messicano, Con Colleano, e come danzava! -, Camilla Meyer era tedesca. Quando la vidi, doveva avere una quarantina d'anni. A Marsiglia, aveva teso il suo filo a trenta metri dal selciato, nel cortile del Porto Vecchio. Era notte. I proiettori illuminavano quel filo orizzontale sospeso a trenta metri di altezza. Per raggiungerlo, si inerpicava su un filo obliquo lungo duecento metri che partiva dal suolo. Giunta a metà salita, per riposarsi metteva un ginocchio sul filo e teneva sulla coscia la pertica-bilanciere. Suo figlio (avrà avuto sedici anni), che l'aspettava su una piccola piattaforma, portava una sedia al centro del filo, e Camilla Meyer, che arrivava dalla parte opposta, saliva sul filo orizzontale. Prendeva la sedia, che stava con due sole gambe in bilico sul filo, e ci si sedeva. Sola. E ne scendeva sola... Giù, sotto di lei, tutti tenevano la testa bassa e si coprivano gli occhi con le mani. Così il pubblico rifiutava all'acrobata questa cortesia: fare lo sforzo di fissarla mentre sfiora la morte. «E tu» mi disse «cosa facevi?». « Guardavo. Per aiutarla, per ringraziarla di aver portato la morte ai confini della notte, per accompagnarla nella caduta e nella morte ». (…..)
* Nel 1956 Abdallah, artista del Circo Medrano, incontra Jean Genet e nasce una relazione sentimentale. Quando il funambolo, causa infortunio, deve interrompere la carriera, la relazione si interrompe. Abdallah si suicida. Genet edifica questo monumento poetico funebre.
|
|