GLI ANDROIDI DI NEUCHÂTEL
di James HANSEN
Fotografie di Jean -Jacques Luder
( da “ Scienza 82 “, n° 7 – settembre 1982 )
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Robot è una brutta parola coniata in questo secolo dal drammaturgo cecoslovacco KareI Kapek per descrivere le creature meccaniche che fanno la parte dei “cattivi” nel suo dramma R.U.R. In tempi più' gentili, quando ancora non si temeva che questi mostri meccanici si impadronissero un giorno del mondo, li si chiamava androidi.
È difficile immaginarsi gli androidi, o automi, del tempo che fu, ma il Museo di Arti e Storia di Neuchâtel, Svizzera, ha preservato, e recentemente rimesso in perfetto ordine, tre androidi a grandezza naturale, costruiti oltre due secoli orsono. Si tratta di due fanciulli di circa tre anni e di una stilizzata giovinetta di 16 o 17 anni. Comandati ciascuno da un 'calcolatore meccanico', un'infinità di camme e ingranaggi di ottone, il primo androide scrive, il secondo esegue disegni a matita e il terzo suona l'organo.
Furono ideati e costruiti tra il 1768 e il 1774 da un orologiaio svizzero, Pierre JacquetDroz, insieme con i due figli, Henri-Louis JacquetDroz e Jean-Frederic Leschot, quest'ultimo figlio adottivo. Il suo laboratorio si trovava a La Chaux-deFonds, vicino a Neuchâtel, sulle prime pendici del Giura, la catena montuosa che divide la Svizzera dalla Francia. Si tratta di montagne impervie, dove gli inverni sono particolarmente rigidi. All'epoca di Jacquet-Droz, le fattorie rimanevano isolate per la neve e le famiglie restavano chiuse in casa per mesi interi.
La desolazione dell'inverno incoraggiava il piccolo artigianato orologiero. Si cercava di mettere a frutto gli interminabili giorni trascorsi davanti allo spazioso focolare: il tavolo di cucina diveniva un banco da lavoro e con semplici utensili manuali si producevano orologi e meccanismi da pendola di incredibile precisione. A sentire i compatrioti, la combinazione di isolamento forzato e orologeria induceva nei montanari giurassiani un blando grado di pazzia. Questa presunta follia, però, non basta a dar ragione dell'enorme complessità degli androidi di Pierre Jacquet-Droz. Costui, all'epoca, aveva la fama di grandissimo orologiaio, e gli androidi ne erano considerati la creazione più raffinata.
Nato nel 1721 da una prospera famiglia di agricoltori, fu mandato all'università di Basilea a studiare teologia, in vista di una carriera ecclesiastica. La vocazione religiosa, però, durò poco: sembra che a Basilea Pierre frequentasse una schiera dissoluta di matematici e naturalisti. Probabilmente ebbe anche modo di esaminare i curiosi marchingegni a molla e le macchine automatiche recate a Basilea dagli imbonitori girovaghi: l'esibizione di questi automi erano voci principali delle fiere del XVIII secolo.
Quasi certamente, inoltre, egli sentì parlare del più grande prodigio meccanico dell'epoca, la famosa anitra artificiale del francese Jacques de Vaucanson. Questo pennuto di metallo imitava con grande realismo le attività caratteristiche delle vere anitre: nuotava, si lisciava le penne e mangiava chicchi di granoturco. De Vaucanson, inoltre, con quel tocco di fantasia che distingue il genio dal bravo artigiano, aveva donato al suo pennuto meccanico la capacità di espellere realistici escrementi.
Jacquet-Droz compì gli studi universitari e ritornò a La Chaux-deFonds, dove, nel ventennio successivo, divenne un orologiaio così famoso da annoverare tra i suoi clienti la Corte Reale di Spagna e gran parte dell'aristocrazia europea. Aprì delle succursali a Parigi e, in seguito, a Londra per trattare l'esportazione in Oriente degli orologi di Neuchâtel. Alcune sue pendole avevano dei congegni meccanici ornamentali, quali uccellini canterini o omini con martelletti che balzano fuori a suonare l'ora su una serie di campanelle.
Nel 1768, con l'aiuto dei due figli, Jacquet-Droz intraprese la costruzione del primo androide, un fanciullo di legno e ottone che venne battezzato Charles Jacquet-Droz, lo Scrivano. Impiegò quattro anni. Al piccolo scrivano, seduto al tavolino, si può far scrivere un messaggio lungo fino a 40 lettere, inoltre gli si può ordinare di andare a capo, di lasciare uno spazio o di intingere la penna d'oca nel calamaio. La testa e gli occhi, comandati da una molla da orologio, seguono il testo man mano che viene scritto. La forma delle lettere è determinata e trasmessa alla mano che scrive da una serie di camme di ottone, una per ogni carattere, o moviento della mano. Mentre la mano destra traccia le lettere, la sinistra sposta il foglio per consentire una corretta spaziatura, evitando così la deformazione curvilinea della scrittura che risulterebbe se la sola mano destra, imperniata sul polso, si spostasse attraverso il foglio.
Il “programma” che regola l'ordine di scrittura delle lettere è costituito da un disco di metallo posto nella schiena dell'androide. Per cambiare il testo occorrono circa sei ore di lavoro, con tolleranze dell'ordine di pochi centesimi di millimetro. La messa a punto è così critica che una semplice variazione della temperatura ambientale provoca talvolta errori di ortografia.
Probabilmente, Charles fu costruito soprattutto per dimostrare la sublime padronanza dell'arte orologiera di Jacquet-Droz. Dei tre androidi, forse, è quello che impressiona meno il profano, ma è di gran lunga il più complesso: la progettazione e la costruzione degli altri due richiesero un tempo infinitamente più breve.
Il secondo figlio meccanico di Jacquet-Droz fu Henri, detto “il Disegnatore”, con un repertorio di quattro discreti schizzi a matita: una scena di fantasia di un bambino con una farfalla, un ritratto di Luigi XV di Francia, due profili di Giorgio III e della moglie Charlotte di Mecklenberg e, infine, mon toutou, «il mio cagnolino». Henri, terminato il disegno, china il capo e soffia via gli eventuali granelli di grafite.
Charles e Henri sono degli angioletti asessuati, più cherubini che bimbi credibili. II terzo androide, però, “la Suonatrice”, è una donna, piena di vezzi muliebri e civetteria meccanica. Esegue cinque melodie su un organetto a canne, segue con gli occhi le dita sulla tastiera, china pudicamente il capo per ringraziare degli applausi. Non si tratta di un semplice carillon: l'organo è un vero organo e le dita lo suonano sul serio. II repertorio musicale fu probabilmente opera del figlio di Jacquet-Droz, HenriLouis, che era un musicista consumato: si tratta di melodie ricercate, che utilizzano tutte le raffinatezze degli stili italiano e francese.
La Suonatrice è di un realismo inquietante, molto più dei suoi due “fratellini”. Respira: un sistema di mantici le fa sollevare e abbassare il petto a ritmo costante ma non artificioso. II suo “sistema vitale”, che comprende anche movimenti del capo e inchini, funziona indipendentemente dalle prestazioni musicali. Con una sola carica può “vivere”, senza però suonare, per un'ora e mezza. L'orologiaio non si risparmiò nel tentativo di darle più “vita” possibile. Un trucco malinconico, a questo riguardo, è che sia stata battezzata col nome della defunta moglie diJacquet-Droz, Marianne. Costei era morta in giovane età, poco dopo aver dato alla luce il terzogenito, una bimba che sopravvisse solo pochi mesi. Jacquet-Droz non si risposò più.
Nella tradizione letteraria la creazione di forme di vita artificiale è seguita immancabilmente da conseguenze catastrofiche. I tre androidi resero Jacquet-Droz, con la sua famiglia, ricco e famoso, ma anch'essi, in un certo senso, finirono con il dominare la vita del loro creatore. L'enorme successo di pubblico costrinse la famiglia ad allontanarsi da La Chaux-de-Fonds: padre e figli trascorsero quasi tutto il resto della loro vita a trasportare le loro tre “stars” da un'esibizione all'altra in Europa.
Con tutti i prodigi del XX secolo, è difficile renderci conto della sensazione creata all'epoca da questi tre androidi. Dovunque si esibissero accorreva una folla enorme; i giornali dell'epoca davano notizia dei loro spostamenti. Gli androidi riuscirono perfino a creare un piccolo scandalo. Pare che durante l'esibizione davanti a Luigi XVI e Maria Antonietta vi fosse stata qualche confusione nella programmazione del “Disegnatore”: all'annuncio che Henri avrebbe eseguito il ritratto di Luigi XV, egli invece disegnò mon toutou, con grande “imbarazzo” della corte.
Secondo alcuni, addirittura, l'esistenza di androidi così realistici creava un problema etico-morale. Si narra che Jacquet-Droz avesse attirato l'attenzione dell'Inquisizione spagnola, ritenendosi che il diavolo non potesse essere estraneo alla costruzione di queste macchine. Ciò però ha tutta l'aria di una trovata pubblicitaria del XVIII secolo: non vi sono prove certe che gli inquisitori abbiano mai pensato seriamente di dedicare le loro non gradite attenzioni all'orologiaio svizzero.
Jacquet-Droz e i suoi androidi girarono l'Europa per oltre dieci anni; smisero, a quanto pare, non perché lo spettacolo avesse stancato, ma perché l'attività orologiera era entrata in crisi. La rivoluzione francese del 1789, che ridimensionò il commercio degli articoli di lusso, fu un duro colpo per Jacquet-Droz.
Quali che fossero i motivi, gli androidi furono venduti a una ditta francese di Madrid, poi, nei cento anni successivi, cambiarono molto spesso di proprietario. Infine, intorno al 1900, la città di Neuchâtel localizzò gli androidi in Germania e li acquistò per 75000 franchi, frutto di una sottoscrizione pubblica. Per dare un'idea dell'enormità della somma, l'operaio medio dell'epoca guadagnava solo 60 franchi al mese.
Gli androidi furono donati al Museo di Arti e Storia. Charles, per ringraziare i concittadini che lo avevano riportato a casa con i “fratellini”, fu programmato per scrivere “Non lasceremo mai più il nostro paese”. Lo lasciarono ancora, invece, ma solo per esibirsi in tutto il mondo. Nel 1964 furono spediti in Cina, come propagandisti commerciali alla Fiera dell'Orologio Svizzero di Hong Kong.
Dalla corte di Luigi XVI alla Fiera di Hong Kong: che decadenza! Secondo Jean-Pierre Jelmini, curatore del museo di Neuchâtel, ora gli androidi recitano, in realtà, il ruolo preciso per cui furono creati. «Penso che lo scopo originario di Jacquet-Droz nell'inventare lo “Scrivano” fosse di creare un formidabile strumento pubblicitario per gli orologi di Neuchâtel.» Noi preferiamo credere che abbia creato Charles, Henri e Marianne perché aveva nostalgia della moglie e perché gli inverni sul Giura sono interminabili.
Italo Calvino, che ha studiato gli androidi e vede in Jacquet-Droz un poeta, scriveva: «Molto spesso gli sforzi dell'uomo in attività apparentemente inutili finiscono, nei modi più imprevedibili, con il risultare importantissimi. Il gioco è sempre stato il movente ispiratore della cultura». Lo “Scrivano” comunque, che lo si consideri artefatto pubblicitario o ludico, è stato programmato in modo da avere l'ultima parola. Il suo messaggio è una citazione latina da Abelardo, teologo e filosofo francese del XII secolo: Omnis scientiae studium bonum (applicarsi alla scienza è sempre un bene). |
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