LE AVVENTURE DI UN UOMO IN MINIATURA
( dal "Wide World", pubblicato in "La Lettura", n° 12 - 1906 )
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Smaun Sing Hpoo è il più piccolo uomo perfettamente ben formato esistente nel mondo. Egli è alto 34 centimetri ma è un perfetto atleta in miniatura: e, date le proporzioni, ha lo stesso ammirabile sviluppo di Hackenschmidt o di Sandow. Egli ha 23 anni ed è l'uomo più allegro e felice della terra. Egli così racconta alcuni fatti della sua carriera: “Molto tempo fa - mi sembrano secoli, ma in realtà non sono che dodici anni - io vivevo con mio padre e mia madre, che erano persone di statura normale, in una capanna di un paese selvaggio di Burma. In modo confuso, io ricordo altissime erbe, folti boschi, piante enormi e attorno a me negri, uomini e donne. Il mio più gran diletto di allora erano i variopinti insetti e i bellissimi uccelli che abbondavano attorno a me. Con i miei gusti e la mia esperienza d'oggi non capisco come io riuscissi allora a passare il tempo senza annoiarmi. lo vissi cosi felice fino ai dieci anni. Un giorno, un bianco molto gentile, venne a visitare il nostro paese. Lo straniero fu così colpito e meravigliato della mia piccolezza (ero alto appena due piedi) che pregò e persuase i miei parenti di permettergli di adottarmi.
Mio zio, come io chiamai da quel giorno il mio padre adottivo, era un bravo capitano di mare, buono, gentile e amoroso, che aveva girato il mondo in tutti i suoi angoli. Dal momento del nostro incontro un attaccamento profondo ci legò e andò crescendo di giorno in giorno. Come ricordo il mio primo ingresso nel mondo civile! Gli strani costumi, le enormi case, i volti di varie forme e vari colori di una grande città indiana, mi parevano cose di un nuovo mondo, e presto presi grande diletto alla nuova esistenza. Dopo due anni di soggiorno in India, io avevo quasi dimenticato il mio idioma nativo e appreso perfettamente quello di mio zio. Presi grande passione per la ginnastica che fu assecondata con un piccolo impianto di anelli e sbarre fisse, così che in poco tempo i miei muscoli si svilupparono e raggiunsero proporzioni straordinarie per il mio piccolo corpo. Lasciammo l'India per andare in Europa, dove fui scritturato per mostrarmi in vari teatri, non solo come un fenomeno di piccolezza, ma anche come fenomeno di forza e come ginnasta. Intanto la mia educazione continuava: appresi il francese e l'inglese.
Per parecchi anni viaggiai con la compagnia di Loie Fuller, della quale sono ancora grande amico ed ammiratore, ma poi girai per mio conto. In ogni città dove andavo, mi facevo amici di ogni condizione, tanto uomini che donne. Fuori dal teatro, io vivevo fra gli altri uomini come qualunque comune mortale. Circa due anni or sono, io sedevo ad una tavola da giuoco a Montecarlo ed avevo fatte sette vincite consecutive sul rosso. Alla quarta vincita già una folla si era raccolta attorno a me e tutti i giocatori cominciarono a imitare il mio giuoco così che il banco si trovò presto in misere condizioni. Dopo la settima giuocata, una signora, vicino a me, tutta pallida e tremante, pose anch'ella il suo ultimo luigi vicino alle mie monete. Quando il croupier raccolse tutte le monete perdute, lo sguardo della signora esprimeva la disperazione e pochi momenti dopo ella si suicidava. Da quel giorno io non posi più piede in una sala da giuoco, ed il viso della mia vicina è ancora vivo davanti a me.
Voi non avete un'idea come io goda la vita; se voi credete che io abbia un sol momento rimpianto d'esser piccino, v'ingannereste di molto. lo sono così ben servito, e trattato con tanti riguardi che non ho nemmeno concepito il desiderio di una cosa, che subito tutto è bell'e fatto per me. lo sono appassionato della mia professione e sono sempre d’accordo con i miei associati. Io non sono mai tanto felice come quando mi trovo davanti al pubblico e ne riscuoto gli applausi.
Ho avuto durante i miei viaggi molte strane avventure. Un giorno mentre mi trovavo a Nizza seppi che una nota cantante, che io ammiravo assai, avrebbe fatto il suo debutto nel maggiore teatro di quella città. Pensai di offrirle un mazzo di fiori e ne acquistai uno grandissimo tutto di magnifiche rose rosse, che mi proposi di presentarle io stesso sul palcoscenico. Il cesto era molto più grande di me ed a stento io riuscii ad abbracciarlo , e guardando fra le rose per trovar la via senza cadere, riuscii a passare inosservato fra il personale del teatro e presentarmi sul palco, proprio nel momento in cui la cantante finiva la sua canzone. Il pubblico potè vedere un enorme cesto di fiori che camminava con due piccole gambe nere. Potete immaginare il successo di meraviglia e di ilarità che ottenni quando, deposto il canestro ai piedi della diva, le feci il mio miglior inchino. Il sipario dovette alzarsi una infinità di volte perchè il pubblico voleva vedere e rivedere la dama ed il minuscolo suo cavaliere.
In America mi trovavo in una compagnia di varietà. Il numero precedente al mio era un giuoco di cani ammaestrati, ed io usavo aspettarli fra le quinte per accarezzarli. Toccava ad un cane saltare attraverso un cerchio in fiamme, ma nel passarlo, un po' del liquido acceso cadde sul pelo della povera bestia, che subito prese fuoco. lo prontamente mi tolsi la giacca e mi slanciai sul cane rotolandomi con lui per terra; le fiamme si spensero ed il cane fu salvo. lo, però, mi alzai tutto pesto e bruciacchiato, perchè il cane era assai più grosso di me. Il pubblico, come preso da un delirio di entusiasmo, non finiva più di applaudire ed io dovetti prolungare il mio soggiorno di qualche settimana, tanta era la folla che la mia presenza, dopo quel fatto, richiamava in teatro.
Un successo di immensa ilarità ottenni una sera in un teatro di Berlino. Per il richiamo sbagliato del ragazzo, incaricato di avvertire gli attori, io corsi in scena, mentre il numero prima del mio non era ancora finito. Si era rappresentata una specie di farsa, nella quale un enorme marito tradiva una piccola sposa. La sposa in quel momento diceva: « Egli potrà fare qualunque cosa, io non potrò mai dimenticare, io lo odio, lo disprezzo, egli è diventato così piccino nel mio cuore e nella mia stima... ». In quel momento, tutto affannato, credendo d'essere in ritardo, io corsi fuori delle quinte e così a proposito per il significato del monologo che il pubblico ruppe in una formidabile risata.
Il mio cuore era in quel tempo assai sensibile alle grazie femminili; facendo ogni sera i miei esercizi in uno dei maggiori teatri di quella capitale, io avevo osservato un paio di occhi azzurri che mi guardavano da un palco tenendo però la persona ed il viso nascosti fra le tende. Una sera trovai nel mio camerino, con mia grande sorpresa, un cestino di fiori con un biglietto dove una mano gentile aveva tracciato parole di ammirazione ed il desiderio che « se il mio cuore era capace di affetto » io portassi al mio occhiello uno dei garofani del cestino al mio apparire sulla scena. Con una grande emozione io mi affrettai ad infilare il fiore all'occhiello pensando che erano certo gli occhi azzurri che l'avevano desiderato. Appena in scena io volsi lo sguardo al misterioso palco; gli occhi azzurri mi guardavano, ma non mi fu possibile vedere il volto che li possedeva. La stessa cosa avvenne per molte sere consecutive ed io finii per perdere il sonno e l'appetito. Una sera, stanco di soffrire e di attendere, finita la mia parte mi slanciai nel corridoio che conduceva al palco dagli occhi azzurri, aprii la porta, e davanti a me vidi un vecchio uomo mal vestito; era l'inserviente incaricato della pulizia del teatro ed aspettava ogni sera che lo spettacolo fosse finito guardando fra le cortine per compiere poi il suo dovere. Egli aveva due occhi azzurri!
Un' avventura pericolosa ebbi ancora in Germania, in un teatro dove ad un tratto si appiccò il fuoco alle quinte; quando io mi accorsi del pericolo ogni via di fuga mi era tagliata. Potevo solo fuggire dall'orchestra, ma il salto era alto per me, e mentre stavo decidendomi a farlo, il mio caro zio, che era uscito dal teatro, tornato indietro in mio soccorso, mi apriva le braccia e mi conduceva in salvo fra la folla terrorizzata.
Altra avventura ancor più pericolosa mi toccò in un giro in America, in una compagnia di varietà. Nel numero del programma seguente il mio, tre elefanti facevano degli esercizi. Essi venivano condotti ogni sera in teatro dalle loro stalle che erano lontane circa duecento metri. Una sera uno degli enormi pachidermi sfuggì al guardiano e si mise a correre pazzamente per le vie; in quel mentre io e mio zio voltavamo rapidamente un angolo d'una via ed io mi trovai precisamente di fronte all'elefante che venne sopra di me come una valanga. Fortunatamente io passai diritto fra le due gambe anteriori ma una delle posteriori mi urtò, ed io caddi, buttato a terra violentemente. Mio zio, disperato, mi raccolse credendomi morto, ma poco dopo mi riebbi e fuorchè una grande paura nessun danno riportai pel terribile incontro. Insomma, la mia vita fra allegre e pericolose avventure è passata fin ad ora nel modo più felice per me, sebbene io sia l'uomo più piccino che esista sulla terra.”
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