BALDO GASTALDELLO GIOSTRAIO DALLA MEMORIA LUNGA
TESTIMONIANZE RACCOLTE DA GIANNI GILI FRA GLI ANNI ’70 E ’90 DURANTE IL CARNEVALE DI TORINO NEI LUNA PARK IN PIAZZA VITTORIO VENETO, IN PIAZZA D’ARMI, AL PARCO DELLA PELLERINA
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La vita di ciascuno è raccontabile perché la memoria ricorda i fatti del proprio vissuto. Avvenimenti, persone incontrate, luoghi, oggetti: tutto ciò compone i fatti. Baldo Gastaldello era un grande narratore di fatti. Fatti di quel mondo altro che è la comunità dello “spettacolo viaggiante”: il mondo delle giostre, dei tiro a segno, dei fenomeni viventi, insomma del Luna Park, del side show per dirla all’ americana.
Baldo ha vissuto tutto il ‘900, con il prezioso tesoro di una memoria prodigiosa. Narratore sempre disponibile, ha fatto conoscere “il meraviglioso” che appare al pubblico della piazza della fiera e del Luna Park, ma anche il “dietro le quinte” apparentemente prosaico, ma sempre eroico e fantastico, operoso e creativo, furbo e ingenuo allo stesso tempo, solidale e cooperativo. La memoria di Baldo era animata da “personaggi che non dimenticò mai”: il non relegarli nell’ oblio era segno di stima, di ammirazione, a volte di riconoscenza, di orgoglio di appartenere alla grande famiglia degli itineranti.
Come tutti gli uomini del ‘900, Baldo aveva spirito di sopravvivenza, imprenditorialità, inventiva, progettualità, capacità costruttive manuali: doti necessarie per fare il giostraio itinerante, e attraversare epidemie, guerre, ricostruzioni, boom e crisi economiche. Instancabilmente sempre indaffarato, sempre programmato nell’ uso del tempo, sicuro e tranciante, senza indulgenze perché la vita non perdona. Rigoroso ed equilibrato, generoso, solidale ed equanime, per anni fu eletto responsabile del Sindacato SNAV - CGIL dei lavoratori dello Spettacolo Viaggiante.
Baldo Gastaldello “aveva naso”, capiva la gente al volo, il pubblico. Coglieva il vento e aveva l’ intuizione per inventare l’attrazione giusta, per presentarla in modo accattivante, per rispondere alla domanda di curiosità del pubblico, o di desiderio esibizionista. La giostra per bambini, ad esempio, era una giostrina: un trenino coloratissimo, piccolo da non incutere paura ai più piccoli perché essi erano comunque più grandi del vagoncino che li ospitava … e si sentivano dominatori … e facevano tenerezza a genitori e pubblico. E poi c’ erano i modi coi quali Baldo trattava i piccoli clienti: facendoli sentire importanti, calmo e benevolo come un nonno, attento alle loro sicurezze cosicché i genitori capivano che lì erano in un’ area protetta. Su quel trenino viaggiarono bambini che, diventati adulti, fecero viaggiare i propri figli e poi i nipoti: Baldo era giustamente orgoglioso di ciò, di essere parte gioiosa dei ricordi di tante famiglie.
Bambino, insieme a mio padre (più raramente con mamma), si “andava alle giostre” in piazza Vittorio Veneto, a Torino, tutti i sabati e tutte le domeniche pomeriggio, per tutta la durata del Luna Park di carnevale, negli anni ’40 – ’50. Andavo sulla giostra dei cavalli, prima piccoli poi grandi e bianchi, con il cappello di cartone da cow-boy. Guidai automobiline e locomotive, suonando clakson e campana quando passavo di fronte a mamma e papà. Volai in alto con i primi aerei che si potevano pilotare tirando la cloche, e facendo battaglia con gli altri bambini mitragliandoli per far loro perdere quota … e si guardava dall’alto: questo sì era essere già grandi ! Giocai con le boccette del sempre si vince, portando a casa tanti peluches, ma mai quelli giganteschi. Guidai sull’autoscontro di Piccaluga, e pilotai le auto da corsa delle prime autopiste. Portai a casa tante foto del tiro-flash, con vicina la fidanzatina di quegli anni. Quando negli anni ’70, conobbi Baldo e incominciai a farmi raccontare “la storia dei mestieri” del Luna Park, mi parve di sentire raccontare anche un po’ della storia mia e del bambino che mio padre aveva saputo conservare vivo in se stesso, di quando con complicità infantile si passavano ore fra giostre, rotonde, imbonitori.
Intervistai Baldo Gastaldello in tre occasioni: nel 1977 in Piazza Vittorio Veneto (registrazione audio), nel 1989 in Piazza d’ Armi e nel 1992 al Parco della Pellerina (video registrazioni), sempre nel Luna Park, sempre di fronte o addirittura sopra le attrazioni delle quali raccontava. Raccontò dei mestieri, delle giostre, del carnevale, degli imbonitori, del pubblico … e del come si diventa giostraio “perché ce l’hai nel sangue”, così gli piaceva dire di sé. Non sapevo ancora che 30 anni dopo sarei diventato anch’ io un itinerante, con le mie narrazioni, i cartelloni, e l’ organo a manovella che ho battezzato “BALDO”.
Per iniziare parliamo di una giostra famosa, conosciuta da tante generazioni di bambini e anche di adulti: la “Peter”.
Era il 1911, e avevo 8 anni. A Carnevale eravamo in Piazza Vittorio, a Torino. Mia mamma aveva la baracca delle foto. Erano ancora una novità a quei tempi. L’aveva piazzata proprio all’inizio: a sinistra quando sbuchi da via PO. In quell’occasione fu proprio lei a farmi la prima fotografia della mia vita ! La “Peter” l’avevamo di fronte: era sulla destra della piazza, la prima che si incontrava. La “Peter” era una signora giostra! Il cavallo era conformato come un cavallo grande. Si diceva fosse di carta pesta, ma in realtà era una composizione di materiali che non si capiva cosa fosse. Muoveva a dondolo e al galoppo: doppio movimento. Le signore e la nobiltà torinese, nei tre giorni di carnevale, venivano e andavano sui cavalli, pagando, nei tempi beati del 1911, due lire! Cinque lire doppio giro, per non perdere il cavallo, per non dover fare la coda per salire di nuovo e fare un altro giro! Pensa che i ricchi ne avevano escogitata una per far vedere che erano ricchi: mandavano i domestici a fare la coda e occupare il cavallo in attesa dell’arrivo della signora!
Prendeva su anche i bambini, ma andavano soprattutto gli adulti … anche perché i cavalli erano molto alti. Aveva successo perché a quei tempi il cavallo andava per la maggiore: era il mezzo di locomozione usuale, capisci. Era montata su cuscinetti di bronzo, oggi ci sono i cuscinetti a sfera, ma allora non esistevano … il movimento lo dava un motore a vapore, una macchina semi fissa. Era uno spettacolo anche questa: tutta luccicante di ottoni … la gente si fermava e commentava. E aveva l’organo! Sai, non c’erano gli strumenti di adesso per fare musica … Adesso un organo così ce l’ha Piccaluga a casa. Questo organo era a cartoni bucati … non so esattamente come funzioni, ma mettevi le strisce con tutti i buchi e suonava. Piccaluga l’ha fatto restaurare e adesso è un capolavoro, anche come suono.
Era uno spettacolo anche vedere la gente che andava sopra: perché veniva tutta la nobiltà di Torino vestita in pompa magna: e allora le donne, specialmente le donne, facevano ressa per vedere i vestiti delle dame, per ammirarli, ma anche per copiare qualche idea … c’erano tanti ateliers che lavoravano per chi se lo poteva permettere, e facevano cose magnifiche … anche grazie alle tante ragazze che cucivano dal mattino alla sera … le famose “caterinette”, le sartine, anche bambine, che sotto le feste dovevano lavorare anche 12 o 13 ore al giorno …
Era difficile da montare?
E’ una giostra pesante, ma pesante sul serio, perché costruita alla moda vecchia, con pali di legno … ma non ha bisogno di molta manutenzione. Ora di questa “Peter” c’è una brutta copia che sarebbe la nipote di quella, e ce l’ha Paglia … ma è un fac-simile di quella vera. Adesso è ferma, che nel nostro gergo vuol dire che è caricata sui camion, che non lavora. A Carnevale non la mette.
Non è una perdita economica grande non montare la giostra a Carnevale?
Forse la sua assenza è per un problema di turni: non è a Torino, ma potrebbe poi andare in un’altra piazza. Sai, le giostre per bambini hanno la questione dei turni. I bambini sono tanti perché la popolazione è aumentata, e anche le giostre per bambini si sono moltiplicate … allora abbiamo dovuto mettere i turni per non bisticciare … a chi tocca un anno, a chi tocca un altro.
Di quali colori erano i cavalli?
C’erano di tutti i tipi come i cavalli veri: bianchi, macchiati, marroni, neri, grandi quasi come quelli veri … era un grande spettacolo anche quando era ferma! Il cavallo assomigliava a un cavallo! Erano fatti in Germania. Qui non hanno mai saputo farli: la testa assomiglia a quella dei cani. Adesso li fanno in alluminio.
Perché si chiamava “Peter”?
Perché il primo che l’ha portata in Italia si chiamava Peter di cognome, un tedesco. Ma qui in Italia furono i Manfredini a portarla in giro, grande famiglia di viaggiatori! Mi pare che gli ultimi ad averla fossero i Bornengo.
carovana fine 1800
Quali sono state le grandi famiglie dello spettacolo viaggiante?
Da quando mi ricordo, dal 1909, in Piemonte abbiamo gli Audisio, i Picci, i Zena, e poi altri che adesso mi sfuggono … Poi sono arrivati i Piccaluga! Antica tradizione. Pensa che il bisnonno di Evasio faceva già il giostraio, con un orgoglio così grande per il mestiere che sulla lapide hanno scritto più o meno “mentre con carro e cavallo trasportava la giostra, cadeva e rimaneva schiacciato”. Una grande famiglia, anche numerosa: 11 figli, tutti viaggiatori, tutti maschi e una sola femmina che vive a Milano e adesso ha più di novant’anni.
Tutti con un mestiere, e hanno avuto dei figli che hanno un mestiere anche loro: chi il bersaglio, chi la rotonda, chi le giostre … tutti lavoratori sul serio, una famiglia di grandi rusconi! Sono originari del Monferrato, sono di Casale. Piemontesi. Il Piemonte è stata una regione più sviluppata di altre, e quindi questo mestiere rendeva più che in altri posti. Erano piemontesi anche i Cagno, principalmente torronai … ma non solo … ma questa è una storia che ci porta molto indietro …
All’inizio furono i torronai?
Quando c’è una fiera c’è sempre il banco dei dolciumi. Frittelle, croccanti, caldarroste, tutte cose che cuoci sul posto e non ci vuole attrezzatura per cuocerli. E c’ erano anche i torronai. Il nostro mestiere è proprio nato col torronaio. Il torronaio arrivava in un posto, metteva la plancia, una tavola di 4 metri, aveva un banco, da una parte dormiva e dall’altra vendeva … la notte nessuno toccava niente. Però il torrone lo vendeva solo la domenica: allora per mangiare tutta la settimana doveva avere qualcosa d’altro … una rotonda, un tiro a segno, un ballo pubblico. Forse il più noto è Cagno, che produce torrone dal 1880. Era una tradizione della borghesia torinese di regalare ai bambini una stecca di torrone Cagno a carnevale. Fu proprio Cagno a inventare il torrone al cioccolato: si fa il “bianco”, si mette in frigo, poi lo si mette a bagno nel cioccolato fuso caldo. Adesso fa anche il torrone molle, così possono mangiarlo anche quelli che non hanno più i denti. Adesso i torronai delle fiere hanno banchi di 10 metri, grossi come negozi, e sono ricchi. I torronai vecchi sono stati degli autentici viaggiatori! E’ da loro che tutto ha avuto inizio, insieme ai saltimbanchi.
E tu come hai iniziato?
Con 100 lire di legno! Nel senso che ho comprato 100 lire di tavole da un falegname, un po’ di chiodi, il martello ce l’avevo già, e ho fatto una rotonda. La domenica sono andato a Luserna e ho guadagnato 100 lire, cioè quello che guadagnavo in una settimana.
Qual’è stato il primo mestiere?
Il tiro anelli. Su una tavola si mettevano in fila dei soldi: 1 soldo, 2 soldi, 4 soldi, 5 lire al massimo. L’anello, lanciato da una certa distanza, doveva cadere in modo da avere i soldi al centro. Sembrava facile, allora molti giocavano, ma vincere era difficile. Quando qualcuno riusciva a prendere le 5 lire crollava il paese, lo sapevano tutti, facevo anche bella figura perché si dimostrava che non truffavo la gente, e venivano altri a tentare. Erano tempi in cui 5 lire valevano qualcosa. Poi ho fatto il trenino. Poi altri mestieri. Questo è un lavoro che deve piacerti, deve entrarti nel sangue, devi averlo nella testa. Il viaggiatore è un po’ come un artista, un pittore o un poeta, o anche un artigiano: si appassionano per un soggetto, un materiale … e lo curano, con volontà. Come un pescatore, come un cacciatore … Ho avuto degli operai che poi si sono ritirati da vecchi o cambiato lavoro, ma quando c’è la piazza vengono e non sanno andare via … vengono a prendere una nasata …
Eppure è un lavoro faticoso …
E’ un faticoso speciale. Per esempio hai degli obblighi. Tu al sabato devi aprire, cascasse il mondo non c’è scuse: pioggia, vento, non interessano, devi aprire anche se c’è da crepare di freddo come proprio oggi, e non c’è pubblico. Abbiamo degli obblighi anche se non c’è una legge scritta. Quando c’è una attrazione chiusa, lì si forma un muro … diventa una zona triste … e ne subiscono le conseguenze quelli che sono vicini a te. Bisogna mantenere il clima, con le luci, i colori, i richiami, la musica, anche fare girare la giostra senza clienti, vuota … se la zona diventa un mortorio nessuno sente la voglia di divertirsi, di scherzare, e di spendere … Anche per mangiare si fanno i turni, mica si può chiudere alle sette di sera … si precipiterebbe nel buio, come per una catastrofe. Sono leggi non scritte che si rispettano nell’interesse di tutti. Non ti mettono mica in prigione, ma se tu sgarri gli altri si ricordano che li hai danneggiati, e se ti prendono di mira tu hai finito di stare bene, ti saccagnano, ti sabotano, ti isolano. I nostri mestieri hanno bisogno di solidarietà, di cooperazione.
“Mestiere” è ciascuna attrazione, dalla giostrina per bambini, al pugnometro, al tiro a segno?
Sì, vengono chiamati tutti così. C’è un nulla osta, rilasciato dal Ministero, che li accomuna in unica definizione: l’otto volante come il pianta chiodi. Non c’è una scuola che insegna a gestire il mestiere. Soprattutto nel passato si era tutti autodidatti, ma con grandi capacità manuali. Per mandare avanti il mestiere dovevi conoscere tutti i mestieri: falegname, carpentiere, elettricista, decoratore, e facchino … perché di pesi ne devi spostare in continuazione! E poi ci vuole una grande inventiva: per fare cose che conquistano la curiosità del pubblico, lo sorprendano. Devi dargli cose che non lo lascino deluso e lo attirino a te per spendere i suoi soldi con piacere. Ecco perché quando veniva una idea si teneva segreta sino al momento in cui la presentavi in piazza. Abbiamo fatto uno scooter (autoscontro) in un cortile di corso Palermo, un trenino in via S. Ottavio, la prima giostra nel cortile di casa mia. Oggi ci sono fabbriche grandi che fanno solo giostre. Sono italiane e sono le più importanti del mondo, hanno superato persino i tedeschi e i giapponesi. Molte sono in Emilia. Usano tutte le tecnologie e i materiali moderni, e ne inventano anche di nuovi. Meccanica, idraulica, elettricità, elettronica adesso … ci sono piste di autoscontro montate su un rimorchio che, quando arrivi nel tuo spazio, premi un bottone e si aprono come una scatola e la pista è pronta in pochi minuti. Un miracolo.
Io però sono stato il primo ad avere il tiro al bersaglio montato su ruote che funzionava nello stesso modo … arrivavo sulla piazza, staccavo il gancio traino dall’auto, aprivo i lati del rimorchio e lì era già pronto il tiro a segno! Poi gli altri mi hanno copiato: il primo fu Rossi.
Perché all’epoca il problema dei trasporti era un problema. O usavi carri con cavalli o usavi il treno. Per gli spettacoli viaggianti le Ferrovie applicavano uno sconto del 50%, ma ci voleva un’organizzazione non indifferente: quantificare i vagoni necessari, fare la richiesta burocratica, sperare che la conferma arrivi in tempo e che la disponibilità consenta di arrivare in tempo sul posto di destinazione, portare alla stazione le attrezzature con mezzi proprii, caricare negli orari e tempi decisi dalle Ferrovie, curare il convoglio durante il viaggio. Conveniva trasportare per conto proprio! Ognuno si è dotato di mezzi su gomma. Chi fa le fiere ha 3 giorni di lavoro: sabato, domenica, lunedì, poi 1 giorno per spiantare, 1 giorno di viaggio, 1 giorno per montare e si è di nuovo pronti … non si poteva rischiare di perdere l’appuntamento. Certo, rispetto a chi ha l’ottovolante, chi ha una rotonda è facilitato: la carica sul porta pacchi, o gli basta un furgoncino.
Cosa sono le rotonde?
Sono i piccoli mestieri. Si chiamano “rotonde” perché sono aperte da tutti i lati e il pubblico può fare i giochi affacciandosi da qualsiasi parte del perimetro, e appoggiandosi a un parapetto basso, che serve anche per irrigidire la struttura.. E poi perché sono messe al centro di un’area e sono circondate da altre attrazioni più grandi. Hanno un telo sopra come copertura. Ma ci sono “rotonde” anche esagonali o quadrate. La mia è quadrata. E’ la struttura che si presta di più a molti giochi di abilità individuali o collettivi. Parlo del “pianta chiodi” che è antichissimo, del “tiro anelli”, del “tiro pesci” … e il proprietario deve dimostrare che è capace a fare il gioco: perché lo spirito è che il pubblico lo sfida e, se riesce nel gioco, il proprietario paga la propria sconfitta dando il premio. Nel tiro anelli il padrone deve sempre far vedere che il diametro dell’anello è davvero in grado di contenere il cubo che ha 14 cm. di lato. Non c’è trucco, non c’è inganno: se bari hai chiuso. Vanno di mezzo anche tutti gli altri del viaggio. Ci sono stagioni in cui ha successo un gioco, e non un altro, ma poi cambi piazza la settimana dopo e le cose si rovesciano … vassapere.
Uno che va sempre è il tiro al pesce. E’ antichissimo. Viene dalla Cina. Si lavorava a 2 soldi, e si metteva solo a Carnevale fino al 1930. Poi si è messo sempre. I Cagno, i torronai, mettevano la rotonda con i pesci insieme al banco del torrone. Le rotonde devono essere messe in zone centrali, creando percorsi fra le grandi attrazioni, evitando che si creino delle zone morte, e evitando che si disturbino a vicenda. Mentre invece i bersagli si mettono lungo il perimetro esterno, a fare parete al Luna Park.
Anche il tiro barattoli ha questa collocazione. E’ antico anche lui. Si fa una piramide di 10 lattine di metallo, 4 – 3 – 2 – 1, e bisogna buttarle giù tutte col tiro di una sola palla. La palla una volta era una boccia del gioco delle bocce, avvolta in stoffa, ma adesso sono di gomma. Dietro le latte c’è una lastra di ferro, e dentro ogni latta c’è una pietra, in modo che quando le colpisci e cadono fanno un rumore d’inferno, che dà soddisfazione al tiratore e richiama l’attenzione del pubblico. La gente si diverte molto quando a tirare sono delle ragazze … se il gestore è sveglio gli offre anche il tiro gratis proprio per attirare il pubblico.
Come il pugnometro, sono giochi che si prestano a sfide fra amici, o per farsi belli davanti alla fidanzata: l’uomo vuol sempre dimostrare la sua virilità.
Tu hai avuto anche il mestiere delle gabbie volanti …
Io avevo la mania delle gabbie, e dopo Audisio ero il “Re delle gabbie”. Le prime le ha costruite Cavallo, di Moncalieri, che era andato a copiarle in Francia, a Nizza. Quattro, di legno, alte 6,50 metri, compreso il bilanciere. Mi piacevano anche se non mi rendevano economicamente. Mi piacevano: erano sportive. Tutto sta nella ginnastica … nella forza. L’operatore ti dava la spinta, poi dovevi girare te e la gabbia insieme, e tentare di farle fare il giro. Tra bilancieri e gabbia il peso era di 6 quintali … quindi quando giravi facevi ginnastica! Il pubblico guardava se riuscivi a farle fare tutto il giro, e quanti giri completi facevi uno dopo l’altro. Si facevano scommesse, si giocavano dei bei soldi in certi posti. I ragazzi andavano per farsi ammirare dalle ragazze, per far vedere che erano potenti. In certi posti di provincia, dove le ragazze erano più spigliate, erano loro che montavano, magari in coppia con un’amica. Allora si fermava subito la gente, perché adesso portano tutte i pantaloni ma allora portavano le gonne, e il pubblico sperava di vedere sotto quando la gabbia girava e scendeva: ma non vedevi niente perché l’angolo visuale non faceva vedere niente … però la gente rimaneva … e poi attaccava discorso quando uscivano dalla gabbia … sai, alle giostre si va anche per conoscere qualcuno …
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Questo era uno dei motivi del successo delle gabbie. Che erano figlie dell’altalena. L’altalena che fanno i bambini con le corde e il pezzo di legno per sedersi … ma con delle piccole barche, dove stavi in piedi per darti la spinta e andare sempre più in alto. Anche lì, se c’erano delle ragazze i giovanotti si fermavano e si facevano intorno per guardare sotto le gonne. Qualche volta si assoldava apposta qualche donnina più allegra, disposta a giocare un po’ con la sua gonna, per farle fare qualche giro in giostra e attirare gente. Le barche sono andate avanti fino al 1946, poi sono sparite: la gabbia le ha uccise.
Qual’è la giostra che hai gestito con più piacere?
La giostra con le gondole! Era il 1935 e ci è saltato il ticchio di fare una cosa nuova. Abbiamo fatto le gondole … ma gondole vere, costruite a Venezia, dai cantieri veneziani. Costavano 1000 lire l’una, figurati cos’erano mille lire a quei tempi, una spesa dell’altro mondo. Avevamo speso 41.000 lire a costruire la giostra completa di 6 gondole e 6 bargozzi autentici. Il resto ce lo siamo fatti noi a mano. Meno il telone per tenere l’acqua, perché ci voleva un telone che non la perdesse. La barca era appoggiata ad uno stangone che la reggeva e la faceva girare, ma l’avevamo pensato in modo che la gondola su di esso fosse in parte libera e quindi si immergesse nell’acqua in modo diverso a seconda del carico che portava. L’abbiamo costruita a Regina Margherita, vicino a Collegno, con Bertolini, suocero di mio fratello. Abbiamo tenuto segreto tutto ciò, fino al giorno della presentazione a Torino, in piazza Vittorio. Ha avuto molto successo per 3 o 4 anni, poi è crollata di colpo.
Come mai questi cali improvvisi di gradimento?
Va sempre così, per tutti i nostri mestieri. E’ come la moda delle donne, come un cappello, la moda di una estate … poi avevano inventato lo scooter acquatico e anche lì c’era l’acqua … ma non ha incontrato, in realtà hanno cercato di copiarci, hanno lavorato in gran segreto anche loro … ma il gusto per l’acqua era già passato e non sono riusciti ad ammortizzare le spese. Per questo bisogna fare in fretta, prendere decisioni, mettere il mestiere in piazza e sfruttarlo rapidamente, perché non sai mai quanto sta nella testa della gente. Ancora recentemente è successo a Gaspare Piccaluga, che non è un novellino. Ha messo il “Boomerang”, grande giostra dove tu giravi e a un certo punto venivi come buttato all’esterno. A Torino ha strafatto! Ma nelle altre piazze minori, dopo carnevale, quelle che frequenti tutto l’anno, è stato un insuccesso dopo l’altro. Sai, a carnevale in una grande piazza, belli o brutti si sposan tutti, poi però bisogna vedere, perché si mangia tutto l’anno e il carnevale viene una volta sola. Calcola che titolari di licenza saremo 5000: qui a Torino, in questo carnevale abbiamo piantato in 400 e passa, e ognuno ha famigliari, garzoni ecc.
Qual è stata la tua ultima giostra?
Una giostra per bambini, ma proprio per quelli più piccoli, che magari non sanno neppure parlare. E’ un trenino, molto basso come altezza, molto colorato, che non va veloce e che non occupa troppo spazio. Il bambino vede sempre i genitori, e questi vedono lui: non si perdono mai di vista e nessuno prende paura. E’ della fine degli anni ’70, ma è ancora moderno adesso. Lo metti sul terreno coi suoi binari, non ha bisogno di piattaforma. Sono venuti sulle mie giostre bambini che poi sono diventati adulti, che hanno avuto dei bambini che hanno portato sulle mie giostre, e poi questi hanno avuto dei figli che portano di nuovo sulle mie giostre … a volte vengono portati dai nonni, che sono quei bambini di allora.
Come ti è venuto in mente di fare questa attività?
Ho cominciato fin da bambino, avevo nove anni … forse è la mania dell’avventura. Ho comperato un orologio che valeva 30 soldi, da Valdata, in via Garibaldi, qui a Torino (adesso lo chiamano “Standa”). Poi in cartoleria ho comprato un foglio con i numeri del lotto. E ho venduto i numeri a 2 soldi l’uno. Vinceva l’orologio chi aveva il numero del primo estratto della ruota di Torino. E’ cominciato così. Andavo di casa in casa, mandavo mia sorella, mandavo un amico … poi portavamo a casa sua l’orologio che aveva vinto. Avevo questa mania di vendere, di fare le lotterie … anche andando a scuola, andando a lavorare … io mi cercavo un lavoro sicuro e poi la festa portavo qualche gioco dove c’era una fiera o una festa in un paese vicino: portavo l’altalena, il ballo a palchetto … ti pagavano o almeno ti offrivano da bere o il pranzo purchè tu dessi incremento al clima della festa … poi le cose sono cambiate.
Prima che questa attività diventasse una professione, che lavoro facevi?
Lavoravo negli alberghi. Io da bambino di fame ne avevo tanta. A quei tempi oltre la domenica, non si andava a scuola il giovedì pomeriggio … io facevo i compiti e poi andavo a fare “il cit” nell’albergo che c’era in piazza Carlina. Mi davano 1 lira, 1 lira d’argento grossa così, e per non cambiarla ritornavo a casa a piedi da piazza Carlina a piazza Statuto, perché sennò il tram costava 2 soldi (sai, già allora ero un po’ avaro di natura). Quello era il mio mestiere, ma lo facevo come intermezzo, come un hobby, un passatempo … Poi da adulto, ero già sposato, il padrone mi maltrattava … una volta, due volte, la terza volta patatrac!: mi sono fatto la rotonda con il piantachiodi, e la giornata usciva lo stesso. Era un mestiere in più. Ancora adesso tengo la rotonda e l’ho piantata qui, mi spiace darla via, ho anche un banco di vendita di torrone e giocattoli, ho la licenza che mi permetterebbe di vendere anche radio e registratori come quello che usi adesso … tengo tutto come riserva, se la ruota del lavoro gira dalla parte sbagliata.
Racconta dello zucchero filato …
Era il 1946. Sono stato uno dei primi ad avere la macchina … ce ne saranno state due o tre in tutta Italia. L’abbiamo fatta noi … sotto accendevi il fuoco col gas acetilene, ma a me quel puzzo dava fastidio e allora l’abbiamo fatta elettrica … la parte che girava la facevamo girare a mano … abbiamo penato per farci a mano quella specie di pettine che fa venire il fiocco di zucchero! Qui in via Garibaldi, a 4 soldi per fiocco, ho costruito la casa di Lanzo con quei guadagni! Quando non facevo niente, si andava via con mio padre buonanima, si andava a fare una fiera anche all’improvviso … quando andava male guadagnavamo 2000 lire ciascuno pagando tutte le spese! La macchina l’ho poi venduta a 20.000 lire. Oggi costano 100.000 lire, sono automatiche, metti lo zucchero, quello grosso, granulato, e fanno tutto da sé. E si guadagna ancora bene! Lo zucchero è una cosa sana, e senza zucchero puro non si può fare il fiocco: non c’è altra soluzione, non si può frodare lì. L’idea ci venne da Manfredini, che aveva una macchina così già nel 1914, comunque prima della guerra mondiale. Faceva lo zucchero filato a Genova. Era il papà di questa generazione di Manfredini che sono in piazza adesso. Quando l’abbiamo fatta noi l’ambiente l’ha vista, ma sono sempre cauti rispetto alle novità … ma noi non siamo stati bravi a tenere nascosti i profitti … la cosa si è divulgata … qualcuno ha incominciato a fare le macchine e la cosa si è diffusa. Adesso tutti i banchi di torrone ce l’hanno e si fanno concorrenza anche se la richiesta non è più quella di una volta. Bisogna sempre trovare il mestiere, il gioco che ti piace per tenerlo con piacere, per inventare delle cose …
Subito dopo la guerra, nel ’46, con che cosa hai ripresa l’attività?
Allora avevo nella testa di mettere fuori un museo. Un museo viaggiante. C’era uno che portava in giro il corpo umano in pezzi di cera. Si chiamava Lavagno. Faceva furore perché potevi vedere come sei fatto dentro, tutto colorato, un po’ impressionante, ma alla gente piace farsi impressionare. Era una attrazione scientifica e faceva vedere tutto, anche gli organi sessuali, per questo era vietato l’ingresso ai minori: non ci voleva altro per attirare il pubblico.
togliere immagine sinistra, spostare la centrale a sinistra inserire filmato dio nel mondo al centro
Comunque … Parla con uno, parla con l’altro … ma non riuscivo a trovare nessuno che mi fornisse del materiale. Poi ho incontrato i salesiani … sì, sì, proprio i preti, quelli degli oratori … Loro mi hanno fornito roba autentica, arrivata dalle missioni … sai, la gente ha nostalgia di conoscere il mondo … e la televisione non esisteva … La gente che entrava vedeva l’Africa! Sai, le palme, gli animali, i lebbrosi, la cura dei lebbrosi, i paesaggi … quelle cose lì, con fotografie, statue di cera a grandezza naturale … la gente si spaventava anche … Lo chiamai “Dio nel mondo”, perché aveva senso religioso. Facevo anche un po’ da cicerone, spiegavo … avevo letto libri per documentarmi, ma inventavo anche tante cose sul momento … Il pubblico veniva perché la gente è curiosa, e perché avevo avuta della propaganda indiretta dalla “Domenica del Corriere” che aveva fatto un articolo. Sono cose che sono tornate ai salesiani, e quando fanno la “Giornata Missionaria” le ritirano fuori ancora oggi. L’ingresso era continuato e a offerta volontaria, e si faceva a metà con Don Morfino (mi pare si chiamasse così), che mi aveva data una cassetta delle elemosine, come quelle delle chiese … ma la gente se mette biglietti del tram usati anziché dei soldi non te ne accorgi … allora l’ho subito sostituita con una cassetta con una rete, che si vedesse quello che ciascuno metteva, ma non si potesse prendere dopo che si era messo … anzi, per invogliare ci mettevo io all’inizio dei biglietti da 10 lire. Era praticamente una baracca d’entrata, anche se era solo su un camion.
Cosa sono le baracche d’entrata?
Noi le chiamiamo così, baracche o padiglioni d’entrata: perché per vedere qualcosa devi entrare. Sono dei padiglioni chiusi per non far vedere cosa c’è dentro, e obbligare i curiosi a pagare il biglietto per togliersi la curiosità. E dentro bisogna mettere delle cose strane, che non si sono mai viste … che stupiscono, che sorprendono, che fanno meraviglia. E’ importante che la gente quando esce abbia la faccia sorridente e faccia commenti su quello che ha visto: così chi è all’esterno ed è indeciso se entrare si convince a comprare il biglietto! Possono essere animali oppure fenomeni viventi … sai, la donna senza testa, la donna ragno, la donna cannone, l’uomo più alto del mondo, il nano più nano, l’uomo elettrico, le sorelle siamesi … E’ tutta messa in scena! L’importante è invogliare la gente, creare curiosità. Negli anni ’50 hanno vietato l’esposizione dei fenomeni viventi … molti erano dei poveri disgraziati che venivano sfruttati, anche se mangiavano tutti i giorni, e magari si facevano qualche soldo.
Per funzionare bisogna saper fare bene “la lucciola”, fare la chiamata, essere bravi imbonitori. Sulla piazza la gente è disposta a credere a tutto quello che gli racconti, non sa resistere … se gliela conti bene … devi dire quello che si vedrà all’interno senza svelare troppo, fare in modo di far lavorare la fantasia del pubblico che così rimane invogliato. C’era Gustavo Cottino che era il migliore … faceva credere qualsiasi cosa! Fra l’altre cose ha esposto una balena: tutti andavano a vederla! Vietato toccare perché delicata da conservare! Puzzava maledettamente … sfido, aveva impiastrato tutta la baracca di sardine marce per far credere che la balena era vera, mentre era di plastica! Ma ne ha fatti di soldi!
Sono giochi di specchi e altri trucchi. La donna volante era una donna come tutte le altre, è ancora qui in piazza adesso, ha il tiro al bersaglio, ormai è vecchia come me naturalmente, giravano sopra un disco di cristallo che, per gioco di riflessi, faceva sembrare che volassero in aria … ma tu lo specchio non lo vedevi, vedevi solo il riflesso. Hanno girato tutta Italia con grande successo. Capisci l’importanza di mantenere il segreto … deve stare tutto dentro la baracca … è tutto lì … se si perde il segreto addio soldi.
Anche la donna senza testa ha avuto e ha ancora un
successo enorme, anche se siamo nella modernità e sappiamo tutti che non
può esistere in natura, ma qui in piazza è possibile. Bisogna essere dei
bravi registi, come quelli del cinema che fanno vedere i marziani.
All’esterno è necessaria una bella scenografia colorata,
impressionante. Una volta le facciate erano di legno, ma i laterali e i
fondali erano di tela robusta. Le decorazioni frontali e laterali di
facevano su tele intelaiate sul legno come i quadri dei pittori, per
ridurre i pesi. Le dipingevano dei pittori – decoratori che viaggiavano
con i convogli dei giostrai. Non si vedevano ma c’erano: lavoravano
nella zona delle carovane, mentre le giostre funzionavano in piazza.
C’era sempre bisogno di loro per mantenere fresche le decorazioni, o per
ripararle, o rinnovarle per far sembrare che lo spettacolo non era
quello dell’anno prima… magari cambiavi solo i nomi.
Ad ogni buon conto la difficoltà stava nel trovare la
creatura che si adattasse a fare la donna cannone o la donna serpente.
Sono cose quasi miracolose trovarle! Si gira, si gira, si guarda, e poi
la trovi e la provi e se va male ne provi un’altra … e se va bene fai
una fortuna.
Quali sono stati i primi padiglioni d’entrata?
Il “Circo delle pulci” è stato fra i primi. Ti davano un
binocolo per poterle vedere. Ma le facevano davvero ballare, o tirare un
carretto … Ti facevano entrare in una specie di imbuto: tu eri sopra e
guardavi giù col binocolo, e il domatore le faceva lavorare sopra un
tavolo illuminato con una luce che creava anche calore, che serviva a
mantenerle lì, che non sconfinassero … se no sai che disastro! Poi sono
scomparse.
E’ diventata famosa la “Virginia al bagno”. Ma non è mai
esistita. Era una leggenda della piazza del Luna Park. Era un modo per
prendere in giro il pubblico credulone, ed anche un po’ noi del
“viaggio” che non abbiamo scrupoli a inventarne che non stanno né in
cielo né in terra. La storia era questa: l’imbonitore nominava questa
Virginia che prendeva il bagno senza nulla addosso, erano altri tempi e
non si vedevano le cose che si vedono adesso … e lasciava credere che
fosse una ragazza bellissima … Poi entravi nel baraccone e vedevi un
sigaro di marca “Virginia” (molto conosciuto all’epoca) a mollo in una
vaschetta d’acqua. La gente rideva per essere stata presa in giro. Si
faceva uscire il pubblico da una porta dietro perchè non incontrasse
quelli che entravano dal davanti … il segreto si manteneva perché
nessuno voleva fare la figura di essere stato gabbato in quel modo.
“La donna tatuata” era una baracca con ingresso vietato
ai minori.
Qui a Torino era collocata vicino alla baracca del
fotografo ambulante: ce l’aveva mia mamma.
Anche il cinema era una baracca d’entrata. Parlo degli
anni prima del 1920. Lo portava la famiglia Zena, quelli che adesso
hanno la pista al parco Ruffini. Era una trovata come lo era stata la
lanterna magica.
Subito non si pensava che avrebbe avuto il successo che
ha avuto … mi ricordo che davano 4 film, ma il titolo solo di due: “I
sogni di Parigi” e “Le due orfanelle”.
Per le baracche con gli animali intanto ci vuole il
benestare dell’autorità della città che ti ospita, è una questione
veterinaria, per via delle malattie che l’animale potrebbe avere.
Bisogna portare animali che non sono conosciuti: le foche
ammaestrate, il delfino, l’orango … a Torino è passato di tutto: orsi
bruni, orsi bianchi, foche nelle vasche, serpenti di tutti i tipi, anche
ragni velenosi.
Gli animali esotici hanno sempre creato curiosità fra la
gente … essere a contatto con loro fa sentire un po’ esploratori,
distanti dai problemi che hai a casa tua.
E’ una tradizione dei girovaghi portarsi dietro un
animale. Molti hanno vissuto portandosi dietro un orso più o meno
ammaestrato, trattenuto con una catena che terminava nell’anello che
trapassava il naso dell’orso. Li chiamavano “orsanti”, suonavano la
fisarmonica e facevano dondolare l’orso sulle zampe posteriori come se
ballasse … ma l’attrattiva era l’orso di per sé, anche se non ballava.
Altri avevano un organetto a manovella e una scimmietta, o un
pappagallo, che sceglievano il pianeta della fortuna da offrire a chi
faceva l’offerta.
L’animale del padiglione d’entrata non è quello del circo
che sa fare tante cose e ha uno spazio grande a disposizione … Allora
qui ci vuole un bravo imbonitore, uno che parla … ti farei conoscere
gente che ha perso la voce, che non riescono più a parlare. Era
l’imbonimento e una piccola apparizione all’esterno che faceva tutto!
Descrivevi l’orango come enorme e così lo pitturavi sulle pareti esterne
della baracca, e quando lo vedevi dentro era un esserino piccolo così.
C’erano anche delle scimmie con le zampe atrofizzate che camminavano
solo sulle mani … roba da fare pena, altro che spettacolo … ma si
vendeva anche quello al pubblico.
L’animale in Piemonte ha sempre avuto successo. Se poi
vai in Valle d’Aosta con una baracca con gli animali la gente diventa
matta! Lì sono sempre piaciuti.
Un’altra attrazione che ha avuto successo è il “Muro
della morte”. Da quando il progresso ha inventato il motore, la gente
n’è stata stregata. Sai, non andare più a piedi come si era fatto per
millenni, e neppure a cavallo che comunque ci mettevi giorni per
arrivare dove volevi … Allora le giostre con i modelli delle automobili,
o le motociclette, o gli aeroplani, hanno sempre avuto successo, e
ancora oggi quelle dove puoi stare in aria o guidare come su una pista.
Questo vale per i bambini come per gli adulti. La velocità strega tutti.
Il “Muro della Morte” è un cilindro di legno all’interno
del quale girano in tondo, a grande velocità, sulle pareti verticali,
motociclette, biciclette, e ultimamente anche ko cart, inseguendosi,
incrociandosi, salendo e scendendo. Il pubblico, in piedi, guarda
affacciato dal bordo superire del cilindro. Era famosa la troupe dei
“Nino’s”.
Il “Muro della morte” inizialmente veniva chiamato “Muro
Australiano”, ed esiste una leggenda … che non so se sia vera o no, ma
te la racconto come l’hanno raccontata a me.
In Australia avevano ordinato a un gruppo di detenuti,
condannati ai lavori forzati, di scavare una buca profonda e circolare.
Uno dei carcerieri che li teneva d’occhio, sente che un detenuto dice ad
un altro “Se riesco a mettere le mani sulla bicicletta della guardia
saprei come uscire di qui … e poi chi s’è visto s’è visto!”. Quando il
direttore del penitenziario viene a sapere la cosa, puoi capire! Fatto
sta che alla fine ne nasce come una scommessa fra il condannato e tutti
gli altri … gli viene data una bicicletta e messo in fondo alla buca
rotonda … e tutti sopra a guardare e fare scommesse. E lui si è messo a
pedalare in giro in giro, sempre più salendo, fin che è uscito fuori,
dove l’hanno acchiappato. Ma aveva vinto la scommessa! Per questo viene
anche chiamato “Muro australiano”, ma è la stessa cosa. E’ la forza
centrifuga che permette la cosa. Sembra che non sia difficile, ma certo
fa effetto perché non riesci a spiegartelo.
Ci sono anche state delle versioni diverse con lo stesso
principio, venute anche a Torino. Era una palla di metallo, fatta di
griglie così che ci potevi vedere dentro. “Il globo della Morte”.
Entravano un motociclista e un ciclista e giravano, e si incrociavano,
senza mani, guidando all’incontrario sul sedile … In Russia addirittura
la sfera si divide in due mentre continuano a girare , ognuno in una
metà.
Nel 1925 è venuto per la prima volta in piazza Vittorio:
la gente veniva da tutta la provincia per vedere “lo spettacolo da
brivido” come diceva l’imbonitore, che faceva anche venire all’esterno
le moto, con gli acrobati che facevano movimenti sopra e davano gas per
fare rumore, che era come la musica di richiamo per quel padiglione che
era diverso dagli altri.
Il rischio arriva quando la moto non è a posto e perde
colpi o si ferma: allora si precipita. Oppure quando non si è precisi
nei sincronismi per gli incroci e ci si scontra … per questo c’è chi
dirige a colpi di fischietto forti, che devono sentire anche col motore
acceso …
Incidenti ce ne sono stati eccome, anche gravi, qualcuno
ci ha lasciato le piume.
Avevo avuto un’altra fissa! Ero andato a curiosare le
attrazioni che mettevano a Milano, parlo del 1935 o giù di lì, e avevo
visto un “Labirinto”, come lo chiamavano.
Era un padiglione grandissimo, pieno di corridoi, di
passaggi stretti, bisognava fare due giri per vederlo tutto. C’era un
po’ di tutto … cose curiose, magari un po’ banali, ma che non si vedono
tutti i giorni: visioni, panorami, trucchi di persone, figure che si
muovevano, rumori che spaventavano, ragnatele fatte di cordini, posti
dove cadevi … ma finivi su un materasso che era stato truccato che
credevi di cadere nella m … tutto studiato apposta.
Quando sono tornato, ne ho parlato con mio fratello per
farne uno insieme … ma ho capito che l’idea gli piaceva ma non intendeva
farla in società. Infatti ha fatto il “Castello incantato” e poi il
“Castello fantasma”: per anni facevano la fila per vederlo! Lui aveva
trovato la strada giusta.
In questi castelli o sul trenino fantasma tutto è nel
creare paura, fare spaventare, come si fa con i bambini, perché siamo
sempre un po’ bambini anche da grandi, e poi si ricordano le storie che
ci raccontavano di fantasmi che urlano, di scheletri e vampiri, tutte
cose che si realizzano con vecchi manichini delle vetrine. E poi ci
vuole il buio … che va benissimo perché risparmi sulla elettricità.
Quando si accende all’improvviso un faro e vedi il morto che si alza
dalla bara, la ragazza urla e abbraccia il giovanotto che è con lei e
così si rompe il ghiaccio … e quando la strega dà la scopata sulla
testa, il bambino abbraccia il papà e si sente sicuro, e quando esce è
tutto orgoglioso, e lo racconta alla mamma, e la gente sente e porta
anche il proprio bambino.
Quando sei sopra la vetturetta sembra che fai un percorso
lunghissimo, ma in realtà continui a girare su e giù su un’area di 15
mt.: e questa è una cosa meravigliosa, fare stare tutto in un spazio
così piccolo!
Quali sono le giostre più indicative di un Luna Park?
Le giostre sono nate per i bambini. Non sanno ancora
parlare ma vogliono andare in giostra … stendono la manina verso la
giostra che gira, e si sporgono dalle braccia del genitore che sembrano
vogliano buttarsi giù per salire sulla giostra!
All’inizio erano un palo verticale centrale che girava e
aveva delle aste orizzontali in cima … come i raggi di una bicicletta …
ai quali erano appesi dei seggiolini. Era una cosa rudimentale. Veniva
spinta a mano. Intorno si fermavano i bambini, e il padrone ingaggiava i
più poveri per far spingere loro e in cambio gli dava il giro gratis.
giostra in missione in colombia
rottame di giostra usata come trampolino in azerbaigian
Poi venne la piattaforma girevole, sempre spinta a mano.
Poi si mise un cavallo bendato al centro che faceva girare la
piattaforma che era diventata più grande e pesante, ma poteva portare
più bambini. Poi si usò la macchina a vapore, e poi l’elettricità. Ma ci
sono state giostrine che muovevano perchè collegate alla catena della
bicicletta del proprietario che pedalava.
I primi tempi si usava la “figura” del cavallo ritagliato
nel legno, appeso alle aste che dicevo. Poi il cavallo venne fissato
sulla piattaforma. E dopo si dette il movimento con delle molle e con
veri congegni mossi dal motore.
Negli anni ’20 Borsotto mise le motociclette, c’era il
boom delle moto: erano in miniatura, le faceva lui che era un ex operaio
della Lancia. E’ stato un precursore, poi negli anni ’50 si mettono
anche le copie delle Vespe e Lambrette.
L’automobile compare nel 1926, copia la “Fiat 509”, ma è
fatta con cassette di legno e pittura … il resto ce lo metteva la
fantasia dei bambini … questo è il bello della giostra, che diventa
quello che il bambino vuole vedere. Piace sempre perché il bambino lì
sopra fa il primo viaggio da solo, gli sembra di essere grande, si
allontana dai genitori e li vede scomparire quando è dall’altro lato del
giro, ma li vede anche ricomparire subito e si salutano … e quando
scende li abbraccia e sembra che ha fatto il giro del mondo!
Il “misto figure” arriva nel dopoguerra: la locomotiva,
la nave, il carro dei pompieri che deve avere la campana, le auto con
due volanti perché tutti vogliono guidare.
Se gli metti tante figure i bambini vogliono provarle
tutte e fanno più giri. Allora hanno messo le figure dei fumetti di
Disney, Paperino e Topolino, e poi l’aeroplano, l’elicottero a due
posti, il cannone … dopo il film “Ben Hur” hanno fatto la biga romana.
Adesso si usa la plastica. Quando ti accorgi che non
vanno più, che non piacciono, bisogna cambiare, e si vendono a chi ha
meno possibilità e fa piazze minori … anche qui c’è il mercato
dell’usato.
L’idea di mettere le sedie e panchine per i genitori
intorno alla giostra è stata mia, sono stato il primo! Papà e mamme
guardano il bambino, si riposano, chiacchierano, e pagano un altro giro
per godere un po’ di pace.
Il bambino che è sempre alla ricerca dell’indipendenza e
fiducia, ci tiene a tenere lui il biglietto in mano e darlo
personalmente al giostraio che passa a ritirarli: e se prendendolo gli
dici “Grazie signore, buon viaggio signore ”, per lui è il massimo.
L’otto volante c’era già prima della guerra del ’14. Era
a Genova, proprietà di un tedesco che si chiamava appunto Otto di nome
(non c’entra che i carrelli facciano dei percorsi che quando si
incrociano formano come un 8). Lì c’era anche il vecchio Manfredini con
lo zucchero filato. Quando scoppia la guerra il tedesco deve ritornare
in Germania, essendo a quel momento su suolo nemico qui in Italia.
Allora, che fare con tutto quel carico? Manfredini sa bene che in
Italia, guerra o non guerra, le giostre funzionano sempre … allora
propone a Otto di fare funzionare lui la giostra, e di dargli i soldi un
poco per volta, fino a comprargliela tutta. Così l’otto volante è
diventato il fiore all’occhiello dei Manfredini, che l’hanno ancora
adesso.
Il Cav. Manfredini aveva 8 operai fissi, ai quali se ne
aggiungevano altri 18 o 20 assunti sul luogo di impianto della giostra!
Lo spazio occupato è immenso sia in larghezza che in altezza, e a volte
ha dovuto chiedere lo spostamento dei fili dell’illuminazione stradale.
Ma è molto importante per la sicurezza che sia perfettamente in piano:
quando lo monti devi controllare pezzo per pezzo che sia sempre in
bolla. Pensa la fatica in piazza Vittorio, che ha un dislivello fra via
Po e il Lungo Po di 7 mt.! Bisognava colmarlo con i “tappi”: noi
chiamiamo così ciò che serve a fare spessore per mettere in piano … ma
non è come si fa con un tavolino, che metti un po’ di carta piegata … lì
ci volevano barili, bidoni, travi … c’era uno che ne aveva un magazzino
apposta per darli ai giostrai a carnevale, e ci guadagnava un bel po’ di
soldi. Lo stesso problema si poneva per la ruota panoramica, i trenini
fantasma, un po’ per tutti insomma.
L’otto volante è imponente perché deve salire in altezza:
per fare salite e discese su piani diversi e incroci, che sono le cose
che creano i brividi ai passeggeri … perché dalla vettura non vedi le
ruote e ti sembra di essere nell’aria e precipitare, e intanto hai
quello che ti incrocia a tutta velocità e con rumore a pochi centimetri
sopra la testa. C’era il pubblico che aveva lo spettacolo gratis solo a
vedere i gesti di paura e le urla di quelli che erano sopra, specie se
c’erano ragazze.
La più grande e più bella ruota panoramica è senza dubbio
quella del Prater, a Vienna. Quando sei in punta arrivi a 65 metri!
Decine di sedili per più persone. Per fare un giro impieghi 30 minuti,
ma te lo ricordi.
Qui in Italia abbiamo costruito ruote prima in legno, e
poi in ferro. Una di queste l’aveva Gino Lino. Ha subito incontrato il
gusto del pubblico, è stato un successo anche economico a quei tempi.
Adesso è calata molto … la gente vuole cose che ti sballottano, che devi
manovrarle, che vanno veloci.
Ma fa sempre attrattiva per il pubblico, che la vede da
lontano, è come l’insegna pubblicitaria che lì ci sono le giostre. E’ il
simbolo del Luna Park. E’ interesse di tutti che ci sia la ruota
panoramica.
E’ una giostra molto costosa e ingombrante, e ha bisogno
di manutenzione.
Per aiutare il proprietario gli si consente di essere
sulla stessa piazza anche con un’altra attrazione per arrotondare i
guadagni: un tiro a segno, un foto lampo …
L’altra attrazione simbolo del Luna Park, da quando hanno
inventato le automobili, è l’auto scontro, che all’inizio si chiamava
autoscooter.
Il Cav. Annibale Piccaluga è stato il “Re
dell’Autoscontro”.
Ma il primo ad averlo in Italia, importandolo
dall’Inghilterra, è stato Giovanni Audisio, di Moncalieri. Poi la
copiarono, e ne fecero una tutta in legno, decorata, che per realizzarla
dovettero chiedere un prestito. Ogni vettura costava 125.000 lire.
Annibale Piccaluga si innamorò di questa novità! Fece una
propaganda così entusiasta che senza volerlo si creò della concorrenza …
ma bisogna dire che non subì nessuna conseguenza: continuò a essere il
Re.
L’autoscontro si muove col principio del motore dei tram:
un polo sul pavimento di ferro, e l’altro sulla rete aerea, a soffitto.
Il collegamento avviene per mezzo di un’asta verticale fissata sulla
vettura che sfrega sulla rete di sopra … quel contatto produceva delle
scintille che piacevano molto a noi ragazzini.
Il pavimento di metallo era costituito da 144 lastre, del
peso ciascuna di 90 Kg.
L’attrazione per essere montata, smontata, e per la
manutenzione costante delle vetture e dell’impianto elettrico obbligava
ad avere 4 operai e un elettricista fissi, che andavano pagati, e che
per contratto mangiavano insieme al proprietario della giostra.
Fu sempre un grande successo, che dura ancora adesso!
Sulle vetture sei seduto con fra le mani un volante vero, puoi andare
dove vuoi e non devi rispettare nessun codice della strada: anzi,
ricercare lo scontro è proprio il gioco … e non ci sono conseguenze,
perché la ciambella di gomma tutt’attorno alla vettura previene ogni
conseguenza. Se poi ci sono donne sulle vetture si scatena la caccia …
le ragazze lo sanno a priori e ci vanno apposta.
La dimostrazione del successo è che l’autoscontro è il
punto di appuntamento e di incontro dei giovani che vengono al Luna Park… al punto che la cassa, che era anche il luogo di diffusione della
musica, si è trasformata nel luogo del dj e la pista con le vetture è
come la discoteca. E’ un grande rinnovamento nella tradizione!
Com’era il carnevale all’inizio del 1900, a Torino?
In via Po il traffico era interrotto nei giorni di
Giovedì e Martedì Grasso. Sotto i portici e nel centro strada si
camminava su un tappeto di coriandoli alto così. E già questo ti dice
tutto.
L’unica piazza con le giostre era piazza Vittorio Veneto,
che è anche la piazza più grande d’Europa. Le giostre la occupavano
tutta e c’erano banchi anche sotto i portici di via Po, da una parte e
dall’altra. Era un Luna Park immenso, secondo solo a Venezia. Fra il
1870 e il 1900 arrivavano turisti da tutta Italia, e le ferrovie
facevano 50% di sconto sui biglietti di andata e ritorno, sia per i
treni dalle altre città, sia per le tramvie a vapore che collegavano
Torino con i paesi vicini.
Tieni conto che le giostre in città c’erano solo a
carnevale, ed erano attese quasi più dagli adulti che dai bambini. Non
c’erano solo le giostre, ma anche sfilate di carri allegorici, grandi
mascherate e balli pubblici e privati, come quelli dello “Scribe” e del
Teatro Regio che finivano in veri e proprii baccanali. Dopo l’una di
notte le donnine più allegre venivano passate a braccia da un palco
all’altro … e ogni palco, come adesso, aveva un retro palco con divani
dove ci si poteva ritirare, e non ti dico altro!
C’era la confraternita dei “Fioj ‘d Gianduja” che
organizzava la festa al “Teatro d’Angén”, diventato poi “Teatro
Gianduja”, quello di via Principe Amedeo, che ancora adesso ha la
statuina di Gianduja sul davanzale del balcone d’onore, al primo piano.
Da gennaio a febbraio contavi 5 – 6 veglioni per sera, e
la città non era grande come adesso. Ogni gruppo faceva il suo veglione:
studenti e caterinette, impiegati, cuochi e camerieri, calzolai,
giornalisti, e poi ogni borgo della città, e le Società operaie di Mutuo
Soccorso, che erano tante perché Torino era città industriale.
Tutti dicevano che il loro veglione era il discendente
diretto del famoso “Vegliun ‘d l’Asu” , che aveva fatto epoca nel 1807.
Costo d’ingresso a questi veglioni: 10 lire, che non era
poco! Chi non poteva permetterselo andava in padiglioni allestiti nelle
varie piazze cittadine: erano i precursori dei balli a palchetto.
Spesso ci scappava l’avventura romantica, diciamo
“romantica” ma è sempre la stessa storia, visto che a settembre –
ottobre successivi la natalità andava alle stelle!
In tutte le piazze succedeva qualcosa, perché arrivavano
a Torino personaggi stravaganti da tutta Italia, artisti di strada si
direbbe oggi, e ciarlatani: mangiatori di fuoco, prestigiatori,
giocolieri, funamboli, incantatori di serpenti e di canarini, venditori
imbroglioni di qualsiasi cosa … e dove c’erano questi si radunava gente
che bloccava anche il traffico delle carrozze e dei tram a cavalli.
A quei tempi la gente girava con le maschere e in costume
(poi il fascismo ha proibito le maschere), ma non cosucce di cartoncino
come fa qualche bambino adesso, proprio costumi per adulti, originali,
fatti dalle sartorie, che avevano un grande lavoro che faceva commercio.
Arrivavano a Torino anche i gruppi delle maschere delle altre zone del
Piemonte, tutti in costume tradizionale delle valli, adesso si direbbe
gruppi folkloristici, e con le bande che sfilavano per la città e si
fermavano nelle piazze a improvvisare un concertino e un ballo, e gli
osti gli offrivano da bere perché aiutavano le vendite.
Il Martedì Grasso grande fiaccolata notturna di chiusura
del carnevale. Era un corteo immenso che terminava in piazza Castello
dove c’era il “Babaciu”, enorme, rimpinzato di pedardi e fuochi
artificiali, che veniva bruciato a mezzanotte, e scoppiava tutto e la
gente impazziva, e le facciate di Palazzo Reale e Palazzo Madama
illuminate dai fuochi artificiali erano proprio uno spettacolo.
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