BIGET CONTASTORIE

 

di Mario LODI

 

( da “I bambini della cascina” – Marsilio Editore - Gli specchi )

 

 

 

 

In quella stalla veniva a raccontare storie il nonno delle gemelle Maria e Giovanna. Lo chiamavano Biget, era molto vecchio, aveva la barba bianca, e camminava curvo appoggiato a un bastone. Teneva sempre un vecchio libro in mano, dalla carta giallastra. Biget sapeva leggere e diceva che in quel vecchio libro c'erano scritte le storie che raccontava.

 

Era bravo a raccontare, parlava adagio, ogni tanto si fermava e noi, intorno a lui, incantati, lo ascoltavamo immaginando le scene.

La prima storia che ascoltai da lui fu quella del mago Merlino e di re Artù. C'era qualcosa che mi incantava nella sua voce, ora alta ora bassa, nelle pause che ci facevano pensare e nei fatti, che evocavano luoghi misteriosi e arcani.

 

 

 

 

 

«Tanto tempo fa, in una terra lontana che si chiamava Britannia» raccontava, «Viveva una bambina senza papà e senza mamma. Era bella, stava sempre in casa, era gentile con tutti. Ma un diavolo, furbo come tutti i diavoli, si trasformò per magia in un bel giovanotto. Il giovanotto entrò di nascosto nella sua casa e, mentre lei dormiva, si accoppiò con lei come fa il torello con le nostre mucche, per far nascere da lei il figlio del diavolo.»

Questa cosa ci impressionò molto.

«E poi?»

«Quando nacque, il bambino era grosso e peloso (era figlio di un diavolo!).»

«Eh, già» disse ridendo Baldo.

«E poi?»

«E sapeva già parlare come me e come voi.»

«Ma i bambini piccoli appena nati non sanno parlare!» disse Natalino.

«Ma lui sì. Per questo da quel momento la gente cominciò a pensare che quel bambino non era come gli altri, ma era un mago. E siccome la sua mamma gli mise nome Merlino, tutti lo chiamavano mago Merlino.»

 

 

 

 

 

«E poi?»

«In quella terra di Britannia» continuò Biget, «il capo Vortgern voleva costruire una torre altissima per difendersi dai nemici e ordinò agli architetti di costruirla. Ma la torre, quando era quasi finita, crollava. Riprovarono tante volte, ma sempre cadeva giù a pezzi.»

«Perché?» a quel punto gli domandai io.

«Nessuno lo sapeva. Era un mistero. Un giorno un ragazzo andò là in mezzo ai muri crollati e disse ai muratori, con un bel sorriso: "Io lo so perché la torre crolla. Se mi fate parlare col vostro capo, gli svelerò perché la torre cade sempre giù. »

«Io lo so chi era quel ragazzo!» disse Giovanna.

«Merlino!» gridammo tutti insieme.

E Biget continuò: «Il ragazzo fu portato dal capo e gli disse: "Scavate la collina sulla quale sorge la torre. Troverete un lago sotterraneo e nel lago due draghi: uno rosso e l'altro bianco. Sono loro che quando si muovono fanno crollare la torre."»

«Come il terremoto» osservò Vasco.

«Il capo fece scavare e trovarono davvero il lago con i due draghi. Appena i draghi videro la luce, cominciarono una lotta furibonda...»

Un mormorio sottolineò quelle parole.

«... e alla fine vinse il drago rosso. Il ragazzo disse: "Il drago rosso è la Britannia, quello bianco i nemici della Sassonia, che saranno sconfitti. E io sono il mago Merlino, padrone di queste terre! "»

 

 

 

 

 

«E poi?»

Biget non era stanco, anzi gli piaceva raccontare, e riprese: «Passarono tanti anni, il capo Vortgern morì e diventò nuovo capo un certo Uther. Il mago Merlino gli fece sposare la duchessa Ygerne ma prima fece con lei un patto: che il primo figlio fosse consegnato a lui.»

«Perché?» qualcuno domandò.

«State a sentire cosa avvenne: il primo figlio, di nome Artù (che nella loro lingua significa "orso") venne affidato a mago Merlino, che lo affidò alla moglie del più forte guerriero. Il guerriero gli insegnò ben presto a montare a cavallo e a maneggiare spade, archi e frecce...»

Quando Biget disse che il ragazzo Artù montò a cavallo, io e Natalino ci guardammo negli occhi: anche noi, quel giorno, sulla groppa dell' Aida, avevamo già cavalcato un cavallo, come Artù.

Mentre noi pensavamo alla cavalcata sull' Aida, Biget andò avanti nel racconto: «A sedici anni Artù era diventato un giovane istruito e forte.»

«Che cosa vuol dire istruito?» gli domandò Natalino.

«Vuol dire che sapeva tante cose, che gli aveva insegnato Merlino: la storia dei Romani, il nome delle stelle, degli animali e delle piante della terra...»

«Anch'io le so, le ho imparate a scuola!» interruppe Vasco, e sorrise compiaciuto. Poi tornò ad ascoltare.

 

 

 

 

 

«Una notte Artù sognò di essere a caccia e di inseguire un cervo bianco che fuggiva attraverso boschi e torrenti. E arrivò a un lago dalle acque limpide. Lì, all'improvviso, il cervo scomparve, ma dalle acque uscì una mano bianca che impugnava una spada e la agitò tre volte rivolta verso Artù. Il giovane Artù si svegliò agitato e per molti giorni pensò al significato di quel sogno strano. Mago Merlino gli disse: "Verrà un giorno che tu farai grandi cose. Non avere paura, io ti sarò sempre vicino."»

Biget qui si fermò e ci guardò a uno a uno. Noi eravamo tutti attenti, curiosi di sapere come sarebbe finita la storia.

E io dissi: «E poi?»

«Nell' anno 509 Uther morì e siccome non aveva figli maschi, i signori di Britannia chiesero a mago Merlino di scegliere il suo successore, cioè il nuovo capo. Mago Merlino disse: "Il giorno di Natale, quando si fa festa per la nascita di Nostro Signore, sceglieremo il nuovo capo." A Natale, usciti dalla basilica dove avevano ascoltato la messa, videro in mezzo alla piazza mago Merlino e vicino a lui una grande pietra squadrata in cui era infissa una spada. Sulla pietra erano incise queste parole: "Chi leverà dalla pietra questa spada sarà il signore di Britannia". Più di duecentocinquanta nobili tentarono di estrarre la spada dalla roccia, ma nessuno vi riuscì. Allora provò Artù: si avvicinò alla magica spada, la impugnò e la trasse dalla pietra. Con quella spada magica, che si chiamava Excalibur, Artù con i suoi fidati cavalieri della tavola rotonda, vinse e cacciò i nemici della Britannia e restò il loro signore.»

 

 

 

 

 

Biget si fermò. La storia era finita ma noi volevamo che continuasse: «Ancora! Ancora!» dicevamo.

«Poi accaddero altri fatti» disse, «ve li racconterò un' altra volta.»

Chinò il capo, chiuse gli occhi, e con le mani incrociate sul vecchio libro, si addormentò.

Noi tornammo ai nostri giochi sulla paglia, al caldo delle mucche sdraiate che ruminavano.