CANTACRONACHE
di Giuseppe DE GRASSI
( da " Mille papaveri rossi " - ed. FuoriTHEMA )
|
|
Alla fine degli anni cinquanta nasce il Cantacronache, un gruppo di ricercatori, studiosi ed autori di canzoni torinese che si distinguerà per una produzione di qualità legata ai grandi temi politico-sociali. È, forse, il primo tentativo di una canzone popolare colta; tentativo che negli anni sessanta (come abbiamo già visto per Della Mea), darà validissimi risultati. Una delle canzoni più conosciute del Cantacronache è senza dubbio DOVE VOLA L'AVVOLTOIO, con musica di Sergio Liberovici su testo di Italo Calvino, scritta nel marzo del 1958, ben presto assurta a simbolo di canzone pacifista tout-court.
Un giorno nel mondo finita fu l'ultima guerra, il cupo cannone si tacque e più non sparò e, privo del suo triste cibo, dall'arida terra un branco di neri avvoltoi si levò. Dove vola l'avvoltoio? Avvoltoio, vola via, vola via dalla terra mia che è la terra dell'amor...
È bellissima l'immagine, creata da Calvino, di quest'avvoltoio che vola cercando disperatamente un luogo dove nutrirsi. E vola sul fiume, ma il fiume vuole che la sua corrente porti carpe e trote e non corpi di soldati. E vola sul bosco, ma il bosco vuole suoni di natura, non spari di fucile, e vola sull'eco, ma l'eco vuole i tonfi delle zappe, girotondi e ninne-nanne, non più rombi di cannoni. E vola dai tedeschi che però non vogliono più fango, odio e piombo, né rubare pane e case in terra altrui. E vola dalla madre che lo caccia via e darà i suoi figli solo ad una bella fidanzata. Anche l'uranio lo respingerà, dicendogli che darà la sua forza nucleare solo per andare sulla luna...
Ma chi delle guerre quel giorno aveva il rimpianto
Com'è facilmente individuabile, esistono in questo testo tutte le componenti storiche (ad iniziare dal linguaggio) della canzone popolare: dagli elementi naturali (il fiume, il bosco), alla madre, al nemico storico (i tedeschi).
Alle spalle dei Cantacronache, musicisti come Fausto Amodei, Margot, Sergio Liberovici e scrittori come Calvino, Jona, Fortini: tutti intellettuali con il «lodevole proposito di riportare nella canzone italiana il duro contenuto della cronaca quotidiana» (Borgna, op. cit.). Scritta nel 1959, e sempre di Calvino e Liberovici, è OLTRE IL PONTE:
Avevamo vent'anni e oltre il ponte
Del 1964 è invece quello splendido ricordo di Cesare Pavese che è UN PAESE VUOL DIRE NON ESSERE SOLI, a firma Mario Pogliotti:
Un paese vuol dire non essere soli avere gli amici, del vino, un caffè. Io vengo dalla città, conoscevo le strade dalle buche rimaste… Dalle case sparite, dalle cose sepolte che appartengono a me…
Di stretto tema pacifista è LA MARCIA DELLA PACE, improvvisata, nel settembre 1961, da Franco Fortini e Fausto Amodei, durante la marcia Perugia-Assisi, voluta dall'utopia antimilitarista di Aldo Capitini «contro l'imperialismo, il razzismo, il colonialismo e lo sfruttamento». La canzone, poi incisa da Maria Monti, conobbe la gloria del sequestro per i versi: e se la patria chiama, lasciatela chiamare!
E se Berlino chiama, ditele che s'impicchi: crepare per i ricchi no, non ci garba più… E se la Nato chiama, ditele che ripassi: lo sanno pure i sassi, non ci si crede più… E se la patria chiede di offrirgli la tua vita, rispondi che la vita per ora serve a te.
Gli anni sessanta scoprono l'Italia ancora intenta a digerire il boom economico, mentre, tra la guerra di Corea e la repressione sovietica in Ungheria, si respira una brutta aria da guerra fredda, tanto che l'ipotesi di una terza guerra mondiale (sfiorata con il mancato attacco Usa alla Baia dei Porci) non sembra improbabile.
Il 20 febbraio 1960 cade il governo Segni, un monocolore Dc appoggiato dalle destre e si apre, per la nostra vita politica, un periodo decisamente turbolento. Mentre una parte illuminata del padronato vorrebbe una razionalizzazione dell'economia con l'entrata al governo dei socialisti, dall'altra si assiste ad un tentativo di cupa svolta a destra. «Immobiliari, Italcementi, società elettriche, Coldiretti, Vaticano gettano sulla bilancia tutto il loro peso e riescono a far fallire ogni ipotesi di accordo anche generico col Psi per un appoggio anche esterno o per un'astensione» (Vettori, op. cit.). Si spiana quindi l'avventura al governo Tambroni, sorto con i voti determinanti del Msi, nato per essere provvisorio, ma che dura pochi mesi (dal marzo all'agosto) solo per la fiera e ferma opposizione popolare che sfocerà nei tumulti di molte città (a partire da Genova, dove doveva tenersi un congresso missino), con la polizia che scatenerà una sanguinosa repressione il cui bilancio finale ammonterà a dieci morti e varie decine di feriti. Sarà, dal '48, la rinascita dell'opposizione popolare e politica. «Le sinistre si fanno carico della direzione della rivolta, la incanalano nella “legalità", rompono l'ultimo ostacolo reazionario e avviano la democrazia italiana verso la prospettiva del centro‑sinistra. Il popolo, dal canto suo, con le manifestazione del luglio '60, ha posto fine alla grande depressione politica che ha fatto seguito al luglio '48. Negli scontri di piazza i proletari son tornati a contarsi, hanno assaporato di nuovo una vittoria, hanno compreso l'importanza di reagire con la violenza alla violenza, hanno meglio compreso la natura di classe delle istituzioni, la truffa della "democrazia" borghese» (Vettori, op. cit.). Al di là della rilettura storica di certe definizioni, quel luglio 1960 è importantissimo innanzitutto per capire meglio ciò che succederà a metà decennio. I morti di Reggio Emilia rappresenteranno la prima, reale, grande svolta politica, in vista delle grandi lotte sindacali e della formazione di una sinistra extraparlamentare. Da quel momento sarà la piazza il vero campo di rivendicazione e battaglia: l'assoluta protagonista di almeno vent'anni della nostra storia. Da quel luglio nasce, a firma di Fausto Amodei, una delle canzoni più sentite e commosse, assurta in breve tempo agli onori della tradizione popolare: PER I MORTI DI REGGIO EMILIA.
Compagno cittadino, fratello partigiano, teniamoci per mano in questi giorno tristi: di nuovo a Reggio Emilia, di nuovo là in Sicilia son morti dei compagni per mano dei fascisti… Son morti sui vent'anni, per il nostro domani. son morti come vecchi partigiani… Morti di Reggio Emilia, uscite dalla fossa, fuori a cantar con noi Bandiera Rossa!
Lauro Farioli - Reggio Emilia 1960 Carlo Giuliani - Genova 2001
|
|
|