DA COLPORTEURS A CAPITALISTI

 

di Giancarlo CHIARLE

 

( da “L’Europa del libro: librai torinesi a Lisbona nel ‘700”

ed. Centro Studi e Ricerche Storiche Onlus - 2006 )

 

 

 

 

              

 

 

Mentre le tecniche di stampa restavano sostanzialmente quelle dei tempi di Gutenberg, il Settecento vide alcune svolte molto significative nelle pratiche editoriali: il primato della religione fu per la prima volta insidiato dalle lettere, dalle arti e dalle scienze; si diffusero i piccoli formati, più maneggevoli; con la voga delle contraffazioni, degli almanacchi e delle operette di letteratura popolare, i famosi "livres bleus" dal nome della carta da zucchero che si usava per la loro rustica legatura, e la nascita, nei paesi più avanzati, delle biblioteche circolanti e dei cabinets littéraires, la lettura iniziò a diventare una pratica popolare. Soprattutto, grazie agli sviluppi dell'alfabetizzazione e alla moltiplicazione delle occasioni di lettura, aumentò considerevolmente la produzione di libri.

 

 

             

 

 

Una parte consistente di quelli che circolavano sul versante mediterraneo, tra la foce del Po e quella del Tago, pesava, in senso non soltanto metaforico (almeno all'inizio), sulle robuste spalle di alcune decine di montanari, appartenenti a poche famiglie, sempre le stesse, tutte originarie di due o tre borgate della piccola valle della Guisane, dalle parti di Briançon. Nelle loro botteghe si annodavano i fili delle reti che univano gli uomini di lettere sparsi per l'Europa, prima nel segno dell'ideale umanistica "repubblica", poi, con le dovute cautele, in quello dell'Illuminismo trionfante. Se altri erano i comandanti e altri i fantaccini dell' esercito dei Lumi, loro erano attestati subito dietro la linea del fronte, ad affaccendarsi nell'anonimato del genio e nelle salmerie.

 

 

  

 

 

 

In questa ramificata Europa del libro, Reycend e Guibert furono due delle famiglie più attive, e Torino fu il caposaldo da cui partirono per altre destinazioni, in particolare per Lisbona, tanto che alcuni dei più importanti librai della capitale portoghese nel corso di tutto il secolo sono accomunati dalla origine franco-piemontese, costituendo il gruppo che è stato definito dei "librai del Delfinato e del Piemonte".

 

Il colportage e il clan dei briançonesi.

 

In principio fu il colportage. All'origine delle solide imprese librarie di cui parleremo vi era l'attività di venditori ambulanti di immagini e libretti, nel contesto del fenomeno più generale dell'emigrazione temporanea nella stagione fredda (ottobre-maggio), base economica di molte piccole comunità alpine, che al suo livello "alto" si esprimeva in una precisa specializzazione professionale legata a strategie "imprenditoriali,,.

 

 

                                       

 

 

All'altro capo della catena alpina, si svolgeva in forme abbastanza analoghe la storia dei colporteur tesini e gardenesi, attivi in collegamento con la grande stamperia bassanese dei Remondini.

La vendita di stampe e libretti era normalmente associata a quella di articoli di merceria e chincaglieria. Spesso sbrigativamente ma forse non a torto associati ad altre figure caratteristiche del mondo dei marginali (vagabondi, ladri, contrabbandieri), i colporteur frequentavano le piazze in occasione di fiere e mercati. Muovendosi, in molti casi, da una condizione originaria di semplici questuanti, e di pastori, attività con le quali condividevano la forte disponibilità allo spostamento, potevano trasformarsi in "mercanti" grazie al commercio delle immagini sacre di ispirazione popolare.

 

 

                                       

 

 

Uomini "attivi, laboriosi ed estremamente sobri", i "Bizouards" usciti da un unico villaggio del Briançonnais, secondo il noto giudizio formulato nel 1754 dal libraio ginevrino François Grasset, avevano in mano il commercio del libro "in Spagna e in Portogallo, allo stesso modo di quello di molte città d'Italia", che spiegava il soprannome con la loro ''finesse'' di abili commercianti. Svolgevano una funzione essenziale per il commercio del libro facendolo arrivare in "cittadine, villaggi e borghi" dove non vi erano botteghe (è un libraio lionese che così si esprime nel 1755), ma frequentando ugualmente le grandi città (120 sarà il limite massimo fissato per Parigi) dove facevano una concorrenza considerata sleale, per i ribassi di prezzo, per la capillarità della distribuzione, per la circolazione di libri proibiti, ai librai regolarmente censiti. Scendevano ogni anno dalle montagne per rifornirsi di "pacotilles de livres" (così li definisce Malesherbes, sovrintendente generale della libreria in Francia) alle fiere di Lione e portarli poi "fino a Cadice ed in Sicilia", garantendo così (secondo il giudizio paradossale ed autorevole dello stesso sovrintendente) l'unico attivo per i librai francesi (!).

 

 

                             

 

 

Si muovevano secondo alcune caratteristiche ricorrenti, che tendevano a perpetuarsi, superando le diversità di famiglia, di insediamento, di epoca, finanche di stato sociale, col passaggio da colporterur a librai. Per prima cosa vien subito da pensare a quella profondamente connaturata "cultura dell'itineranza,, che li spinge a spostarsi lungo innumerevoli direttrici, soprattutto, ma non solo, mediterranee, lungo gli itinerari che, attraverso la Provenza, collegavano le penisole italiana ed iberica […..].

 

L'insediamento a Torino.

 

Reycend, Guibert ed Hermil furono le famiglie che per prime si stabilirono a Torino e che maggiore rilevanza ebbero successivamente (soprattutto i primi) nell'attività libraria ed editoriale. Provenivano, secondo quanto scriveva nel primo '800 l'erudito Giuseppe Vemazza, pioniere della storia dell' editoria piemontese, che certamente ricavava queste informazioni dagli eredi, dalle "parrocchie" di "Freicenet, Saint Chaffrey, les Guibertes". Con Torino ebbero anche fare, secondo le indicazioni di Laurence Fontaine, una decina di altre famiglie: Silvestre ed Orgeas, i cui nomi compariranno anche alla metà del secolo nella ragione sociale delle librerie, e poi Bonnardel, Giraud, Raby, Pic, Borrel, Boef, Gravier e Prat. Scorrendo i documenti torinesi, se ne possono aggiungerne altre: nomi importanti, come quello appena citato dei Bouchard, librai a Firenze, o quello degli Aillaud, segnalati dopo la metà del secolo come librai proprio in Portogallo, a Lisbona e Coimbra.

 

 

                             

 

 

Le borgate di les Guibertes e di le Freyssinet ed il villaggio di St.­Chaffrey si trovano lungo la strada che, in una direzione, da Briançon risale al colle del Lautaret verso Grenoble e, nell'altra, conduce attraverso Briançon e il colle del Monginevro a Susa e a Torino. Le località sono dunque dislocate lungo una strada di antica percorrenza internazionale. Non a caso è quindi possibile fin dal medioevo rintracciare prove documentarie di un' emigrazione stagionale o definitiva, legata al commercio di scambio del sale o ad avvenimenti congiunturali come le conseguenze delle grandi epidemie o le persecuzioni delle minoranze ereticali, dalla zona di Briançon in direzione della valle di Susa e di Torino.

 

Per il commercio in generale, e per quello dei libri in particolare, Torino poteva d'altra parte offrire alcune condizioni favorevoli, per la posizione di prossimità alla patria di origine, a centri editoriali importanti come quelli svizzeri, ad uno snodo importante come il porto di Genova, a mercati importanti come quelli costituiti dalle altre capitali italiane; inoltre, la minore severità dei controlli della censura rispetto ai libri in transito, non destinati a fermarsi nei confini dello Stato, apriva ai librai con contatti internazionali l'opportunità di svolgere un ruolo strategico di intermediazione. Per cui, la città era, nel Settecento, "uno dei centri italiani più importanti non già per la produzione del libro, ma per la sua circolazione,,.

 

A Torino, inoltre, i librai non avevano una loro corporazione. Non che, per questo, fossero più ricettivi nei confronti dei nuovi venuti ed in particolare dei colporteur, contro i quali, anzi, mettevano periodicamente in campo delle azioni, in genere sfocianti in suppliche all'autorità sovrana, per impedirne o almeno ostacolarne l'azione. Ancora nel 1774, quando i briançonesi si erano ormai da decenni profondamente integrati, i librai della città denunciavano il malessere causato ai loro commerci dalla presenza di "ogni sorta di persone... anche mendicanti" soliti a importare dall'estero un gran numero di libri per venderli a "molti ecclesiastici o secolari", e non solo libri esteri, ma anche (sostenevano) contraffazioni di libri editi in Piemonte "sotto falso pretesto, o di minore prezzo, o di migliore carattere,,.

 

 

                                                 

 

 

Stando alle informazioni del Vernazza, i Reycend sarebbero giunti a Torino intorno al 1690. Il primo contratto documentato, individuato da Lodovica Braida, risale in realtà a diversi anni prima, al 1675. All'inizio di quel decennio, o al massimo alla fine di quello precedente, potrebbe far risalire il calcolo basato su un'affermazione di Claude Guibert Maggiore, che nel 1730 dichiara di essere "abitante in questa città da sessant'anni e più in qua e naturalizzato".

 

Non si può però, per quest'epoca, parlare di un vero "trasferimento". Per molti anni, forse una quarantina, sembra che a trasferirsi siano soltanto gli uomini, che gestiscono le botteghe con l'aiuto di commessi e affidano le case di abitazione alle cure di qualche "servante,,. Per diversi decenni, come fanno molti mercanti, sono semplicemente domiciliati in città, e non assumono più impegnativi carichi familiari, quasi (si direbbe) come, emigranti stagionali. Sono, secondo la definizione di un notaio torinese, "marchands de Monestier en Dauphiné demeurant en cette ville".

 

 

             

 

 

È soltanto a partire dal 1725, cinquanti'anni dopo le prime tracce documentarie, che si cominciano a incontrare con regolarità i nomi dei figli di queste famiglie nei registri di battesimo, precisamente in quelli della parrocchia metropolitana di S. Giovanni.

I ricongiungimenti familiari sono la prova della svolta. Scorrere questi registri è, tra         l'altro, il modo migliore per verificare a colpo d'occhio la solidità del "muro" eretto dall'endogamia.

 

La strategia del reinsediamento è portata avanti dalle tre famiglie associate nel "negozio" di libreria, Reycend, Guibert ed Hermil, e sono soltanto questi tre nomi, nella larga maggioranza dei casi, a ritornare in modo ossessivo in tutte le registrazioni, scambiandosi caso per caso i ruoli.

Insomma, i legami di parentela vengono, anno dopo anno, rinsaldati, ed una parte importante è giocata non solo dai matrimoni, ma dal comparatico: padrini e madrine escono quasi sempre dalle solite tre famiglie, tanto che i personaggi di spicco o i fratelli maggiori diventano padrini di numerosi individui. Le relazioni gerarchiche si ripetono identiche, nelle società commerciali come nel clan familiare […..].

 

Da colporteurs a “capitalisti”.

 

Sono famiglie, i Reycend e i Guibert "torinesi", che almeno una volta l'anno vanno dal notaio a formalizzare acquisti, matrimoni, eredità, società; che nella conduzione degli affari si fanno assistere da professionisti competenti: nei primi decenni del secolo, all'epoca del citato Claude Guibert (che gli lascia 500 lire nel testamento), legale di fiducia della famiglia è l'abate avvocato Bertetti, che tiene studio in Dora Grossa, nel solito Cantone di S. Caterina.

 

 

               

 

 

Investono parte dei guadagni nel mercato immobiliare. Fanno incetta di botteghe "sotto li portici di piazza Castello" (nel 1723 ne acquistano per 12.250 lire una seconda accanto a quella di cui già dispongono; nel 1730 ne acquistano un'altra ancora per 10.000 lire). André Reycend acquista una casa in via Nuova: dire, come fa Claude Guibert nel testamento, che André, "suo compagno di negozio", "a Dio piacendo si ritrova ben fornito di beni di fortuna", non è, insomma, un modo di dire. Nel 1756 Giuseppe Reycend (fu Giuseppe) acquista una cascina a Collegno […..].

 

 

                                                 

 

 

Torinese di nascita, francese di origine, portoghese per vocazione professionale, Giovanni Giuseppe / Jean-Jospeh / Joâo José Guibert si trasferisce da Torino a Lisbona qualche anno prima del 1730, aprendo una strada che altri librai seguiranno […..].

Ritroviamo Jean-Joseph a Torino nel 1730, di ritorno da Lisbona, dove dichiara di aver aperto, "da qualche anno" (la data non è mai precisata), una libreria per la vendita di libri, stampe e altre "marchandises". È tornato perché ha bisogno di finanziamenti e si è rivolto ai librai fratelli Reycend di Torino. Il 10 marzo 1730, in Casa Quaglia, probabilmente nei locali della libreria Reycend-Guibert, che anche in altre occasioni sono impiegati come sede di atti legali, Jean-Joseph Guibert, "mercante", e i fratelli André, Joseph ed Estienne Reycend, "librari", costituiscono una società, della durata di 5 anni, con lo scopo di rifornire la libreria che Guibert, "il y a quelques anneés", ha aperto a Lisbona, per acquistare "librairie, images et plusieur autres marchandises pour le Negoce que le dit sieur Jean Joseph Guibert tient publice et ouvert dans la Ville de Lisbonne Capital du Royame de Portugal ou le mesme il y a quelques anneés qu'il fait (sic) sa residence pour le commerce sousdit".

 

 

                    

 

 

I fratelli Reycend investono un capitale complessivo di 9000 lire, equamente tra loro ripartito, che Guibert dichiara di aver integralmente ricevuto, impegnandosi a fornire una somma grosso modo equivalente da calcolarsi sul valore delle merci disponibili nel negozio di Lisbona e, per la differenza, da versare in lire di Francia.

Inoltre i fratelli Reycend fanno entrare nella società il nipote Jean-Joseph Reycend, primogenito del loro defunto fratello Jean e "natif de Turin", che andrà a Lisbona come ragazzo di bottega, ripromettendosi di avviarlo così alla professione.

Due terzi degli utili andranno ai fratelli ed un terzo al nipote, mentre Guibert avrà diritto ad uno stipendio annuale di 200 lire "pour consideration de son savoir faire", da detrarre dai profitti. Arrivati a Lisbona, "ou il doivent faire leur dit commerce", Jean-Joseph Guibert e Jean-Joseph Reycend dovranno per prima cosa fare un inventario generale e inviarne una copia, debitamente sottoscritta, ai soci torinesi.

 

In realtà, non a caso i fratelli Reycend affidano il nipote a Guibert, così come non a caso i due personaggi portano lo stesso nome: i registri battesimali della metropolitana ci consentono infatti di scoprire che Jean-­Joseph maggiore è il padrino del minore, nato a Torino il 20 settembre 1713. I rapporti di parentela e di comparatico presiedono all'avviamento alla professione, come pure all' "apertura" delle strade che portano a Lisbona.

 

 

          

 

 

 

 

Due anni dopo, avendo lasciato Jean-Joseph il giovane a impratichirsi nel mestiere nella bottega di "rua do Cordoaria Velha" che porta ora l'insegna "Guibert e Reysand" (sic), Jean-Joseph si trova ad Avignone, altro snodo importante del commercio libraio        dell'Europa mediterranea, specializzato in contraffazioni, e qui sposa Anne Marie Josserand , figlia di Joseph, mercante di Monetier, e vedova di Jean-Baptiste Delorme, il cui padre Jean nel 1692 si era trasferito ad Avignone da Monetier per svolgervi la professione di libraio diventando in seguito anche stampatore. Claude Delorme, fratello di Jean-Baptiste, aveva sposato l'altra figlia di Joseph Josserand e la sua discendenza (un figlio e una figlia) si era intrecciata a quella della famiglia Collomb, di origine briançonese ma installata da una generazione a Marsiglia, snodo parallelo ad Avignone, ad esercitarvi mestiere di librai internazionali come corrispondenti dei Gosse e agenti generali dei Cramer. Un terzo figlio di Claude, Charles-Joseph, si era invece accasato, sempre nel contesto di una rigida endogamia di origine e mestiere, con la figlia di uno Jourdan mercante a Lione e si era così imparentato con un altro Jean Reycend, mercante di tele e parente dei librai torinesi.

 

Non c'è dubbio: tra Lisbona, la Provenza e Torino, i biançonesi sono costantemente impegnati a tessere un "réseau libraire" (Fontaine) vasto come l'Europa […..].