COMMEDIANTE COMMEDIOGRAFO
di Giorgio COSMACINI
( da “Il medico saltimbanco” – EDITORI LATERZA )
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Torniamo a quegli anni Trenta del Settecento in cui Goldoni incontra a Milano Buonafede Vitali nel pieno vigore della maturità e nel maggior fulgore dell' attività di medico saltimbanco. Sono «anni agitatissimi per la città di Milano». Mentre un esercito franco-piemontese al comando di Carlo Emanuele III di Savoia occupa lo Stato di Milano volgendo a proprio vantaggio le vicende della guerra di successione polacca (combattuta contro Austria e Russia e conclusa dalla pace di Vienna nel 1738), a tale guerra fanno da contorno le carestie e le epidemie catarrali descritte dal medico milanese Giacomo Antonio Crivelli e da lui attribuite agli autunnali «scirocchi con piogge e nebbie» e agli inverni «umidissimi e freddi». Il clima milanese non giova all'ipocondria di Goldoni che, rivoltosi al Vitali in veste di paziente, mantiene con lui rapporti anche d'altra natura, come si vedrà tra poco, frequentandolo in privato e dilungandosi a valutarne e memorizzarne modi e comportamenti.
Scrive: “Dovunque si mostrava in pubblico a Milano, l'Anonimo aveva la soddisfazione di veder tutto pieno di gente a piedi e di gente in carrozza; ma poiché i dotti erano quelli che comperavano meno, bisognava rifornire il palco di certe attrazioni per intrattenere gl'ignoranti; e il nuovo Ippocrate spacciava i suoi medicamenti e prodigava la sua oratoria, circondato dalle quattro maschere della Commedia italiana».
Le quattro maschere con cui il Vitali era solito rallegrare il suo pubblico erano quelle tradizionali: Pantalone, il Dottore, Arlecchino, Brighella. A parte queste ultime due, tratte l'una dalla Bergamasca e l'altra da Brisighella nel Faentino, Pantalone e il Dottore consentivano al Vitali di duettare sul palco, lui assumendo la parte del Dottore e affidando il ruolo «di spalla» di Pantalone a quel Francesco Rubini, mantovano, che a detta di Goldoni «sosteneva mirabilmente la parte».
Buonafede Vitali non solo teneva in gran conto la spettacolarizzazione cerimoniale della propria eloquenza nell' esercizio dell'arte sua e durante le sue vendite, ma anche dedicava se stesso, in prima persona, all' arte dello spettacolo, scrivendo i testi per i teatranti che gli facevano «compagnia»- una vera e propria compagnia di teatro - nelle sue esibizioni. Scrive ancora Goldoni: «Bonafede Vitali aveva anche la passione della commedia, e manteneva a sue spese una intera compagnia di commedianti».
Si immagini la scena, nel «Verzaro [alias Viridario]» di Milano, stracolmo di folla, o nell' attiguo slargo davanti alla basilica collegiata di Santo Stefano. È un luogo storico: in data 26 dicembre 1476 lì era stato ucciso a pugnalate il duca Galeazzo Maria Sforza; lì il famigerato frate Gerolamo Donato, detto «il Farina», in data 2 agosto 1570 era stato impiccato non prima che gli venisse amputata «la mano che havea sparato l'archibugiata contro l'Illustrissimo Cardinale Carlo Borromeo», arcivescovo di Milano, inviso a molti per aver «disciplinato e contristato» l'ordine religioso degli Umiliati, troppo arricchitosi, al quale apparteneva il temerario frate sparatore. Il sito non è lontano dall' «albergo del Pozzo, uno degli alberghi mobiliati più famosi di Milano», dove - scrive sempre Goldoni - «andai ad alloggiare»!!. Lì c'è il banco su cui sale l'Anonimo, mentre lo schiamazzo d'intorno si acquieta ed egli si appresta a recitare, a conversare con Pantalone, a dialogare - botta e risposta - con la piazza. Ha inizio la rappresentazione, descrittaci da Goldoni.
Scena prima: «Egli risolveva pubblicamente le questioni più difficili che gli erano proposte su tutte le scienze e sulle materie più astratte. Sul suo teatro empirico si avvicendavano problemi, questioni di critica, di storia, di letteratura, ecc.; ed egli con risposte improvvisate svolgeva dissertazioni d'alto pregio». Scena seconda: le maschere al suo seguito, che gli facevano contorno, mentre egli magnificava uno dopo l'altro i suoi dodici «arcani» -la meravigliosa dozzina della salute a buon mercato - con lazzi e giuochi di mano «aiutavano il loro padrone a ricevere il denaro ch'era gettato dal pubblico in fazzoletti» e si sbracciavano «a rinviare questi stessi fazzoletti carichi di vasetti e scatolette». Scena terza: queste stesse maschere, ultimata la compravendita, «facevano seguire la recita di commedie in tre atti al lume di bianche tracce di cera, non senza un magnifico apparato».
Buonafede Vitali è un commediante nato. Ha la medicina nel cervello, la chirurgia nelle mani, il teatro nel sangue. Scrive commedie. Sua è La bella negromantessa, che ha per protagonista una strega due volte pericolosa: perché è una maga intrisa di «nera magìa», demoniaca, e perché è bellissima, provocante e attraente come una sirena omerica trasmutante gli uomini in porci. È una «commedia in prosa, brieve, onesta e piacevole, composta e data in luce dall'Anonimo» presso l'editore Longhi, in Bologna, nel 1735.
[…] Nella recente Vita di Goldoni Franca Angelini, riassumendo gli inizi di carriera del grande commediografo veneziano, ha detto che per l'Anonimo Goldoni «scrive, dietro richiesta, l'intermezzo a due voci I sdegni amorosi tra Bettina putta de Campiello e Buleghin barcariol venezian (poi intitolato Il gondoliere veneziano) e Il Belisario, sua prima tragicommedia dopo la sfortunata Amalasunta»; e aggiunge che Goldoni, «viaggiatore e avventuriero perché sempre disponibile a nuove esperienze, figlio di un medico che somiglia all'Anonimo, trova in quest'ultimo la persona per cui iniziare la pratica del teatro, con gli attori e con il tipo di teatro allora di moda». Insomma, nel 1732 è «l'Anonimo Buonafede Vitali [colui] che instraderà Goldoni al teatro». [.....]
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