C'È IL TUO DOPPIO DIETRO LA MASCHERA

 

di Mauro GERACI

 

 

 

 

Dispiace sempre distruggere un mito dell'antropologia ma le maschere non compaiono solo una volta l'anno, nel tempo festivo e protetto di Carnevale, l'unico in cui ogni scherzo vale. Le maschere, spesso, non hanno neppure i volti scherzosi, colorati, familiari di Pulcinella, Arlecchino, Pantalone o Brighella. Goldoni se ne accorse che maschere erano le civettuole o gli ottusi borghesucci che infestavano quel Teatro del Mondo veneziano da lui osservato dagli angoli delle strade e bonariamente denunciato. E oggi, dopo Pirandello, Internet dischiude a ogni istante i sipari del cybersesso in cui è facilissimo cambiare identità, infrangere tabù, entrare in contatto con uno, nessuno e centomila. Se, nel Carnevale, maschere come quelle di Pulcinella o dei Dragon Ball si acquistano, sempre più care, per far provare ai bambini, in un momento scherzoso, il brivido di essere altri, sia pure entro i limiti imposti dalle tradizioni o dai consumi di massa, durante tutto l'anno altre maschere fanno sul serio.

 

A spiegarcelo sono l'antropologa Laura Faranda, dell'Università "La Sapienza" di Roma, e lo psichiatra Bruno Callieri (fondatore, assieme a Carniello, Basaglia e Borgna della psichiatria fenomenologica in Italia) che hanno appena scritto sull'argomento “Medusa allo specchio - Maschere fra antropologia e psicopatologia” (Edizioni universitarie romane, 106 pagine,  Euro 12,91.

 

"Le maschere - dice Laura Faranda - non sono solo i costumi, i vestiti, i manufatti usati in cerimonie di tipo carnevalesco. Le maschere, in senso lato, sono dilatazioni del nostro corpo nel mondo; controfigure meditate che ci consentono di alterare deliberatamente la nostra identità. Con la maschera, insomma, possiamo andare oltre il nostro corpo e imboccare quel sentiero che dall'Ego ci porta all'Alter, che ci fa simultaneamente essere noi stessi e altro da noi stessi". In ambito psichiatrico la maschera è, prosegue Callieri, "il camuffamento quotidiano, la simulazione, la dissimulazione che, a vari livelli, ciascuno di noi mette in atto quotidianamente. L'istrionico, in questo senso, è il non plus ultra del modo di esistere in maschera: volubile d'umore, reattivo, drammatico, esigente, egocentrico, attraente, seduttivo, capriccioso, petulante come una caricatura. Al polo opposto, la pluralità, non meno eloquente, delle smorfie o degli sguardi impietriti dalla paura propri dei pazienti ossessivi".

 

E per capire la poliedricità, psichica e culturale, delle maschere che ci circondano e che indossiamo, Callieri e Faranda propongono un ritorno alla Grecia classica. Un luogo "esemplare dell'incubazione del pensiero occidentale, in cui la medicalizzazione della follia coincide con l'affermazione della tragedia antica. La tragedia greca, infatti, come del resto il Carnevale, prende vita in seno ai culti di Dioniso, il dio della maschera per antonomasia; il dio che riassume, nella sua ambiguità, il nesso tra maschera e mania divina, il legame tra follia e rivelazione divina. Il tutto in una stagione, quella greca classica, in cui i folli non erano emarginati e neppure considerati malati mentali bensì straordinari rivelatori di valori religiosi. Così, nelle maschere tragiche, sono gli dèi a far parlare gli eroi che le indossano e a far coesistere l'ordine e il disordine, la mania delirante e vagabonda della vergine Io e la "malattia eroica" di Eracle e Aiace, la fosca melanconia di Medea e la malattia d'amore di Fedra, fino alle potenti femminilità delle maschere di Cassandra, Medusa e della stessa Atena". Nel ritorno alla Grecia ritroviamo così l'anello di congiunzione, ossia l'archetipo che unisce l'antico teatro delle maschere sacre a quello, altrettanto antico, delle follie, oggi del tutto isolate in scandalosi reparti ospedalieri, da ogni forma di vita religiosa, civile, umana. I volti degli ossessivi - nota perciò Callieri - "sono totalmente imperscrutabili. Finiscono per assumere sembianze di maschere che recitano il tempo della loro sofferenza: rughe profonde attraversate da impercettibili tensioni che pervadono i piccoli muscoli, mutevoli giochi perilabiali, sguardi fissi, corrucci frontali e sopraccigliari che scavano negli anni solchi non più cancellabili, veri e propri diaframmi rispetto al mondo". Anche le nuove maschere, quelle pensate per i giovani, utilizzano in fondo lo stesso archetipo greco: il doppio, che nel film di Chuck Russel “The Mask”, un impiegato ottiene con una maschera antica, trasformandosi in un supereroe degno dei migliori cartoons.

 

Così il ventaglio dei nickname nelle poste elettroniche e chat line. "Un esempio concreto? Nel trasferire sul mio indirizzario le e-mail di alcuni studenti ho scoperto con soddisfazione che molti loro nickname evocano nomi celebri di maschere indiane (Dzonokwa) o greche classiche (Medusa)", aggiunge Laura Faranda. Grandi siti come Geocities e Yahoo! offrono, inoltre, spazi web per camuffarsi o svelarsi a piacimento nell'ambito di "condominii di interessi" accessibili a tutti. Un mondo in cui si entra da estranei; poi l'identità si modula, da individuo a individuo, secondo schemi di travestitismo che possono ascendere, ancora, alla Grecia classica. "Pensiamo - osserva Faranda - ad Achille, l'eroe dell'Iliade, che dai nove anni fino all'adolescenza conosce una stagione "al femminile"; e ad Eracle, l'eroe "supermaschio", che il mito sorprende farsi percuotere dall'amata Onfale, vestito di un peplo femminile e coi capelli profumati come donna. Se Achille indossa la maschera della donna, Eracle è posseduto dalla maschera tanto arcaica quanto divorante della sessualità femminile dai connotati misteriosi, potenti, inquietanti. Del resto è Medusa la maschera che riassume inequivocabilmente la voragine della sessualità: la bocca spalancata e ghignante, il mento peloso e una fitta dentatura quale rappresentazione brutale del sesso femminile".

 

Il carnevale, come si vede, è permanente. Vi ricerchiamo identità immaginarie, ci mettiamo in maschera per metterci in mostra come Narcisi, oppure per proteggerci. Contemporaneamente possiamo mettere in maschera gli altri, i politici più in vista; possiamo tirarli fuori dalle scatole televisive, smascherandoli, trasformandoli in statue di cartapesta che sfilano, a Viareggio, quali sciantose di una, ahimé famigerata, Repubblica delle banane.