EMIGRANTI, DOLLARI E ORGANETTI

 

di Marco MORONI

 

( da " Emigranti, dollari e organetti " - ed. affinità elettive )

 

 

 

 

Introduzione

 

Fra i filoni del razzismo anti-italiano che più dolorosamente hanno segnato la vita dei nostri emigrati all' estero, prima ancora che si diffondessero gli stereotipi dell'italiano violento ("il popolo dello stiletto") o malavitoso (e più specificamente "mafioso"), vi è stata a lungo l'accusa di essere una "etnia arretrata" e incline al degrado sia igienico che morale: lo attestavano le cronache giornalistiche che periodicamente denunciavano le pessime condizioni sociali, igieniche e sanitarie dei quartieri italiani, ma lo confermava anche la Conferenza internazionale contro la "tratta delle bianche" che, riunita a Parigi nel 1902, attribuiva il "vergognoso primato" della tratta proprio all'ltalia, mentre già nei decenni precedenti era stato a più riprese segnalato anche un traffico di bambine e bambini, spesso trascinati clandestinamente oltreoceano e poi ceduti a girovaghi o a tenutarie di bordelli.

 

In effetti nella seconda metà dell'Ottocento, prima in Inghilterra (e in Francia) e poi negli Stati Uniti, particolarmente alto risulta il numero di bambini venduti a padroni che, quando non li sfruttavano costringendoli apertamente a mendicare, li utilizzavano come suonatori di organetto; il cantastorie ambulante che, accompagnato da un bambino e spesso da una scimmietta ammaestrata, importunava gli operosi cittadini americani praticando una forma di mendicità mascherata, è una figura spesso presente non solo nella stampa anglosassone ma anche in molte testimonianze relative alle principali città statunitensi: il fenomeno, oggetto anche nella nostra Penisola di varie inchieste a partire dagli anni Settanta dell'Ottocento, tenderà poi lentamente a diminuire ma, benché avversato dalle autorità consolari e dai notabili italiani per il "disdoro" che provocava alla patria, appare ancora diffuso nell' America dei primi anni del nuovo secolo. Lo stereotipo resta così radicato che, come scrivono Gian Antonio Stella ed Emilio Franzina, "Fiorello La Guardia, forse il più amato dei sindaci di New York, avrebbe ricordato sempre come il momento più umiliante della sua esistenza fosse stato quello in cui in Arizona, dove viveva prima di trasferirsi nella Grande Mela, lo avevano irriso dicendogli:

"Ehi, Fiorello, sei un dago: dov'è la scimmia?".

 

 

 

 

 

La funzione dell'organetto e della musica all'interno delle comunità di emigrazione è tuttavia ben più rilevante e complessa di quanto non appaia dalle testimonianze ora richiamate e merita di essere indagata più in profondità. In questo libro lo si farà prestando attenzione non solo al ruolo identitario svolto dalla musica etnica nelle little ltalies nordamericane, ma anche ai riflessi economici che la diffusione di tale musica ebbe sia negli Stati Uniti che in Italia.

 

L’analisi che qui viene condotta prende avvio da una riflessione sul peso e sull'importanza delle rimesse, prima in un' ottica nazionale e poi con particolare riguardo all'area marchigiana, cioè alla realtà territoriale nella quale a fine Ottocento incomincia a mettere radici una produzione, quella appunto di organetti e "armonici", che giunge ad affermarsi proprio grazie al rapporto privilegiato che riuscirà a instaurare con i luoghi dell'emigrazione italiana e in particolare con le little ltalies nordamericane.

 

Il legame tra emigrazione e crescita industriale in Italia è stato più volte sottolineato dagli studiosi. Gli storici ormai concordano nel ritenere che, a livello macroeconomico, le rimesse hanno contribuito in modo determinante alla crescita dell' economia italiana nel primo Novecento: tra il 1896 e il 1912 esse permisero di triplicare le riserve auree, ma soprattutto favorirono il riequilibrio dei conti con l'estero; infatti, l'inevitabile disavanzo commerciale provocato dal processo di industrializzazione allora in atto fu in parte compensato con le entrate derivanti dal turismo, con i noli marittimi, ma ancor più con le rimesse degli emigrati.

 

Meno evidente è, invece, la funzione svolta dalle rimesse a livello microeconomico e in particolare nell' accumulazione delle pur modeste quote di capitale necessarie all'avvio di nuove imprese. È indubbio che le rimesse vivacizzano le varie economie locali, ma mancano, e non solo per l'area marchigiana, analisi puntuali dalle quali emerga il ruolo che sia il denaro inviato dagli emigrati sia le competenze acquisite all'estero ebbero nella nascita di nuove attività industriali.

 

Nei successivi capitoli si tenta perciò di indagare in modo più specifico il peso che, per gli strumenti musicali, l'esperienza migratoria ebbe nella formazione e nello sviluppo di nuove capacità imprenditoriali. In un settore nel quale una notevole percentuale della produzione viene venduta all'estero, il nesso tra emigrazione e industrializzazione assume infatti particolare rilevanza. Nel caso della fisarmonica l'apporto risulta evidente, non solo perché lo affermano fin dal 1898 due pionieri del settore come Paolo e Settimio Soprani, ma soprattutto perché per un gran numero di vicende imprenditoriali e di storie aziendali, qui ricostruite, le esperienze vissute e i legami allacciati negli anni dell' emigrazione sono risultati determinanti.

 

È evidente che reti di relazione, rapporti fiduciari e legami economici vengono intessuti in tutto il mercato internazionale (quindi anche in quello europeo), nel quale gli artigiani di Castelfidardo fin dagli ultimi decenni dell'Ottocento esportano i loro "armonici"; è vero però che, per i produttori di fisarmoniche e per l'intera economia del distretto marchigiano degli strumenti musicali, la vera fortuna viene dall'America e in particolare dagli Stati Uniti.

 

È nel grande mercato statunitense che, fin dall' età giolittiana, al momento del vero decollo, si riesce ad esportare il maggior numero di organetti; è dagli Stati Uniti che, tramite le rimesse degli emigrati, vengono quei capitali necessari per compiere il balzo decisivo che, negli anni tra le due guerre, porterà alla completa affermazione dell'industria della fisarmonica, la quale vivrà poi una vera e propria "età dell' oro" nei primi decenni del secondo dopoguerra.

 

La ricerca si basa su alcune fonti aziendali superstiti e sulla ricca documentazione conservata nell'Archivio storico del Comune di Castelfidardo; sono stati consultati, in particolare, gli atti dei censimenti industriali, i fascicoli relativi alle attività economiche, le carte dello Stato civile e i registri dei passaporti degli anni 1880-1950; altrettanto importanti sono stati,però, oltre alle testimonianze di alcuni protagonisti, anche il materiale e i dati raccolti nel Museo internazionale della fisarmonica di Castelfidardo, diretto da Beniamino Bugiolacchi.

 

Per i temi affrontati e per il particolare approccio prescelto, il libro aspira a offrire uno spaccato del fenomeno migratorio per alcuni versi nuovo e in gran parte ancora non indagato neppure nelle pur numerose e approfondite ricerche condotte negli ultimi anni.

 

2.3. Gli emigranti e l'organetto

 

Come ha scritto Emilio Franzina, che si è rifatto agli studi di Roberto Leydi e Febo Guizzi, "fra i bagagli, i bauli e le valigie dei partenti s'intravedono o si immaginano imbarcati, assieme alle immancabili chitarre e a molti mandolini, numerosi altri strumenti. Umili e poco ingombranti il più delle volte (zampognette, campanelle, fischietti, triccheballacche, triangoli, traccole, raganelle, tamburelli, armoniche a bocca ecc.), ma non di rado anche di valore qualificante come flauti, trombe, pive, zampogne, ghironde, violini, armoniche e fisarmoniche, organetti ecc., essi sono destinati a dar prova di sé nei paesi di arrivo"

 

Non occorre insistere sulle motivazioni che spiegano questo attaccamento degli emigranti agli strumenti musicali del proprio paese, soprattutto quando domina "un inedito e diffuso sentimento di estraneità, di spaesamento, di sospensione e di inquietudine" e quando, in una esistenza ancora in bilico tra speranza del futuro e memoria del passato, non si riesce neppure a intravedere i contorni della nuova identità.

 

Il groviglio di sentimenti che sta dietro la scelta di avere con sé una fisarmonica è ben intuibile dalla lettera che un emigrato italiano, di nome Mansueto, manda alla madre nei primi anni del Novecento: "Carissima madre, oggi è il giorno della befana, io mi trovo in buona salute, sto qui e non mi manca gnente ma poi passavo meglio quando stavo lì perché ci avevo più divertimenti e qui non sorto di casa, mi pare di essere mezzo tonto; la paga è buona per me perché non guasto gnente solo che alzarmi e vestirmi; io vi dico voglio una armonica, lo direte allo zio Sabino che lui la manderà apprende e quando viene Arturo la darete a lui; scoltate bene la voglio 12 bassi che lui lo sa, li darete i soldi che io alla fine del mese vi manderò un tremila lire o più secondo come il cambio, avete inteso come dovete fare, altro non so cosa dirvi, vi saluto, vostro figlio Mansueto"64.

 

Gli strumenti legati alla musica popolare italiana, fra i quali certamente vanno inclusi gli organetti e le fisarmoniche, non servono soltanto a fare festa o ad allontanare la nostalgia; come emerge da un brano di Pierre Mac Orlan, scritto negli anni del secondo conflitto mondiale, aiutano anche ad acquisire una sicurezza altrimenti impensabile: "Mi ero presentato come fisarmonicista. Un uomo che tenga tra le braccia una fisarmonica e sappia servirsene - scrive Mac Orlan - non teme quasi nulla e può passare dappertutto. Per mia fortuna io sapevo suonare la fisarmonica. Ne avevo comprata una in Italia, uno strumento perfetto, magnifico; [...] seguii la rue des Charrettes senza il minimo incidente".

 

Tutto ciò, ovviamente, non vale soltanto per l'America del Nord.

Anche per l'Argentina, le testimonianze non mancano. Uno dei protagonisti de " La barca di Caronte ", il romanzo scritto da Comunardo Braccialarghe con lo pseudonimo di Folco Testena, è Corrisvelto, l'anarchico che, dopo essersi più volte tratto d'impaccio grazie alla sua fisarmonica, "piangeva suonando" al pensiero dei compagni uccisi dalla polizia nella Buenos Aires del primo dopoguerra.

 

Altrettanto significativa è la testimonianza di Luigi Ravina, il cui diario, scritto in francese negli anni Venti, è stato pubblicato in Italia con il titolo " Il cavaliere con la fisarmonica "; emigrato nel 1909 e fermatosi a lavorare in una grande fattoria della Pampa, Ravina racconta che "ogni domenica per il pranzo veniva arrostito un maiale, un agnello e un vitello. Terminata la cottura, si disponeva l'arrosto su una portantina destinata a questo uso e gli si faceva fare il giro della casa. Dietro veniva la famiglia al completo, il personale, i braccianti stagionali; in testa al corteo c'era il fisarmonicista: io in persona".

Allo stesso modo, in Lorena, "sarà il desiderio di "casa" e di socialità italiana a costituire il polo aggregante delle comunità" che si ritrovano "per ballare, suonare la fisarmonica, cantare [...] giocare a carte e a bocce, scambiarsi servizi e favori in un' economia dello scambio dei saperi".

 

Come per il cibo, così anche nel caso della musica la continuità non si limita alla sfera del consumo, ma ben presto investe anche quella della produzione.

Introducendo un fascicolo monografico di "Memoria e ricerca" dedicato al tema "Migrazioni: comunità e nazione", Manuela Martini ha individuato propio nell'economia familiare e comunitaria alla prova dell' emigrazione un' area tematica che "meriterebbe ulteriori approfondimenti": è evidente, infatti, che i networks economici delle comunità edificate dalle catene migratorie "sono fortemente dipendenti sia dai legami precostituiti nei luoghi di partenza che dai nuovi reticoli identitari, etno-culturali, costruiti in quello d'arrivo". In verità negli ultimi anni non sono mancate le ricerche volte a indagare "le forme di attività autonoma o di piccola impresa che costituiscono una specializzazione professionale dei membri di un gruppo etnico" o di una comunità di immigrati; da questo nuovo filone di studi, definito ethnic businness o ethnic enterprise, sono emerse le modalità attraverso le quali talvolta un gruppo etnico è riuscito ad affermarsi in una attività industriale o in un mestiere "coinvolgendo parenti e compaesani come forza lavoro, come fonte di finanziamenti piccoli e meno piccoli, come fornitori e clienti" e creando uno spazio economico che, favorito dalle relazioni comunitarie, è stato capace di occupare una nicchia o un particolare settore di mercato.

 

L'imprenditoria dell'immigrazione italiana che era sorta intorno alla cucina etnica si allarga poi ad altri settori; quella che è stata definita "una economia italiana parallela", inizialmente centrata sul "mangiare italiano", si rafforza mettendo radici in uno dei consumi voluttuari che più si caratterizza per la sua valenza identitaria: la musica. Allargandosi al settore musicale, tale economia non muta però i suoi tratti peculiari: forte presa dei legami familiari e comunitari anche nell' esercizio di attività economiche di tipo industriale, controllo del mercato del lavoro tramite catene di reclutamento mantenute all'interno della rete di parenti, amici e paesani, diffuso ricorso alle relazioni etniche sia per ampliare la rete commerciale che per rispondere al bisogno di finanziamenti, carattere familiare o societario delle imprese, spesso sorte per iniziativa di più compaesani.