UNA FESTA MODERNA CON TRADIZIONI ANTICHE

 

di Gian Luigi BRAVO

 

( da “Verde”, gennaio 1979 )

 

 

 

 

Carnevale: oggi questa festa significa soprattutto, per la maggior parte di noi, maschere e coriandoli, stelle filanti e costumi più o meno fantastici, sfilate di carri e personaggi, cene e veglioni. Nell'insieme, un po' di chiasso e di allegria, talora genuini, talora forzati e superficiali, qualche spesa in più, qualche ora di vacanza; una festa che non dura molto di più e non è molto diversa da tante altre occasioni di divertimento durante l'anno, che spesso non riesce a stimolare in noi molto interesse, a parte, forse, nei più piccoli.

 

E’ vero però che il Piemonte è una delle regioni d'Italia in cui si sono conservate tracce consistenti di carnevali antichi e feste affini; inoltre qualche elemento di novità si osserva, negli ultimi anni: in vari paesi si ricomincia a celebrare la ricorrenza nelle strade, non solo con carri e costumi, ma riprendendo talora canti quasi dimenticati o bruciando in piazza un grosso fantoccio.

 

 

       

 

 

Tuttavia, che senso può avere oggi parlare del Carnevale, occuparsene seriamente, documentarne la persistenza o la riproposta in qualche zona delle nostre montagne o delle nostre campagne? Che senso può avere riportarne il discorso alle sue origini antiche, al di fuori del campo specifico di interesse degli studiosi di tradizioni popolari e di storia delle religioni?

 

È possibile cominciare a dare qualche risposta. Riconoscere nel Carnevale di oggi le tracce di una celebrazione fondamentale nella vita contadina, di cui non comprendiamo più gli elementi e il senso di allora, ricondurlo alla sua origine popolare, anche rifacendoci alle forme che esso ha conservato in qualche zona, può avere la sua importanza. Può consentirci di approfittare di una ricorrenza ormai, tutto sommato, abbastanza svuotata e passivamente consumata, per cogliere qualche aspetto rilevante della storia delle classi subalterne, soprattutto dei contadini, e del modo in cui essi hanno concepito la festa, la religione, il lavoro; per misurare meglio il modo e l'entità dell'attuale svuotamento e con essi gli eventuali momenti di novità, valutandone i possibili effetti. Ancora per trarne stimoli, proposte e iniziative di festa e di tempo libero che fondino la loro creatività anche sui contenuti e il linguaggio della tradizione popolare.

 

 

           

 

 

Di questa tradizione il Carnevale è certamente un elemento molto importante, ed è quindi uno dei punti di osservazione migliori per accostarsi alla concezione della vita elaborata dai contadini nelle società fondate sull'agricoltura. Elaborata certo nello scambio, nel contatto e nel conflitto di valori, credenze, cerimonie e religiosità, tra popolo e classi dominanti, ma mantenutasi, nonostante imposizioni ed adattamenti, proprio nel caso del Carnevale, più a lungo e profondamente fedele al carattere popolare della festa, del contenuto che vi traspare, del sacro che vi si esprime.

 

Il Carnevale è il luogo d'incontro e di fusione di una serie di riti e cerimonie più antichi che si qualificano innanzi tutto come riti di fertilità. Alla fine dell'inverno, quando sta per iniziare il nuovo ciclo di produzione in agricoltura, in questi riti si è espressa l'esigenza di assicurarsi il benessere ed in particolare un raccolto abbondante e sicuro, di quel tipo di sicurezza, almeno, che ci può dare la fede magica o religiosa.

 

A questo scopo si compiono due tipi principali di cerimonie, quelle intese a purificare la comunità e ad eliminare il male, e quelle intese a provocare l'abbondanza dei raccolti. Il Carnevale è dunque un momento di rinnovamento, di purificazione e di rinascita. E in questa luce vanno lette anche le tracce di festa che oggi ci restano.

 

 

   

 

 

La purificazione, l'allontanamento del male trascorso, trovano spesso espressione nel processo e nella condanna del Carnevale stesso, inteso come uomo o rappresentato da un pupazzo; giudicato e condannato, il Carnevale viene variamente e più o meno scherzosamente giustiziato. Ma prima, in molti casi, fa testamento o si confessa pubblicamente, schernendo difetti e malefatte dei suoi compaesani e contribuendo così, quasi in una pubblica confessione collettiva, ancora una volta alla liquidazione di quanto c'è stato di negativo nel passato. Se un tempo ciò ha richiesto anche vittime umane usate come capro espiatorio, oggi la confessione si è fatta sempre più scherzosa, o è maturata nella satira politica; essa conserva però la caratteristica di mischiare serietà e lazzi, la condanna e lo scherzo, il tragico e il comico.

 

Il comico e il licenzioso sono infatti, l'elemento fondamentale della propiziazione dell'abbondanza; perché il riso, lo scherzo e l'osceno, con i relativi riferimenti sessuali, sono un appello magico diretto alla produttività naturale, intesa anch'essa come sessuale; il discorso e il comportamento licenzioso sono stati in un certo senso la parte più sacra, in termini di religiosità popolare, del Carnevale, quella che aveva la funzione più importante per la sopravvivenza della comunità contadina.

 

Sullo stesso principio magico di influenza sull'abbondanza dei prodotti naturali sembrano basarsi i banchetti, il riso e l'allegria collettiva, le grosse mangiate, il piacere del gioco e della danza. In un mondo contadino certo avaro di tutto ciò, vivere questi comportamenti durante il Carnevale significava per un momento realizzare praticamente l'allegria, la libertà e l'abbondanza, e contemporaneamente operare perché almeno in qualche misura si avverassero.

 

In questo quadro di rinnovamento della vita e di rovesciamento delle ristrettezze usuali in un mondo, al tempo stesso, per un breve periodo, vero e «recitato», rientra anche il rovesciamento, o almeno l'annullamento e la derisione delle differenze gerarchiche, dei privilegi, dell'autorità e del sussiego delle classi e categorie dominanti. Per molti secoli questo aspetto si è mantenuto vitale, e solo lentamente è stato represso e reso asettico. Era, infatti, un mondo «recitato» che, pur se poneva magicamente le basi per un rientro nell'ordine solito, consentiva un'esperienza di «disordine» quanto mai concreta e prolungata.

 

Così, in questa sacralità materiale e sessuale, in questo «disordine» programmato ma vissuto fino in fondo, nella cerimonialità dello scherno e del dileggio, si è espressa a lungo una concezione della società e della vita, forse non quotidiana ma non meno reale, delle masse popolari. E nell'ambito di questa concezione si sono fusi e alternati anche il diabolico e il buffonesco, dando vita alle maschere.

 

 

   

 

 

Nel periodo di rinnovamento, infatti, anche le creature degli inferi salgono sulla terra, personaggi talvolta osceni e deformi che indicano il tragico, il pericolo dei momenti di rinnovamento del ciclo vitale della natura, dei momenti di crisi, e insieme contribuiscono con la loro potenza, alla fertilità naturale. Ridotte a trastullo, o a perso­naggi farseschi di un dopolavoristico “folclore” regionale, le loro maschere nere le denunciano ancora come morti o denomi, abitanti del regno verso il quale scendono le radici della vegetazione e dal quale possono, sia pure a nostro rischio, aiutarci.

 

Infine nel Carnevale ci sono elementi di gara, di competizione, di lotta; premi, gare, alberi della cuccagna, scontri con Turchi di fantasia o battaglie a base d'arance come ad Ivrea: celebrazioni della vittoria del bene sul male o tensione di tutte le energie ancora una volta a fini propiziatori.

 

Nella distanza tra questo Carnevale, questa festa di fertilità, di libertà e di scherno, che oggi può essere solo ricostruita sui documenti, e quello a cui assistiamo oggi, si apre lo spazio a tutta una discussione, certo non nuova ma ancora da sviluppare da questo punto di vista, sulla festività, sul tempo libero, come occasione, ad un tempo, di divertimento e di critica, di espressione creativa, anche fisica, e di rimessa in questione di valori e comportamenti dominanti.