IL CANTASTORIE

 

di Lucia GIONGRANDI

 

 

 

 

Mamma Lucia e papà Peppino erano i miei nonni paterni. Abitavano nella “Strada Grande", così gli abitanti amavano chiamare la strada principale del paese, via Roma, di S. Michele di Catania.

La loro casa era tutta in un'unica stanza, dove una tenda un po’ sgualcita delimitava la camera da letto dalla cucina e un’altra tendina nascondeva il gabinetto. Il letto era situato sotto una piccola volta, al capezzale un antico quadro che raffigurava la Sacra Famiglia e sopra il comò, una gran foto o meglio un fotomontaggio di mio nonno con i suoi tre figli maschi. Tutto era fatiscente e precario, ma ai miei occhi di bambina quella stanza rappresentava quanto di meglio io potevo desiderare, lo svago della domenica pomeriggio.

 

La mia famiglia e le famiglie dei miei zii, dopo essere andate il mattino a messa e mangiato il pranzo di mezzogiorno, quasi sempre pasta e carne al sugo, la domenica pomeriggio ci trovavamo tutti in via Roma.

La casa dei miei nonni era in una posizione privilegiata a detta di mio padre, infatti proprio davanti c'era l'unico bar della strada che in estate diventava la gelateria dei miei sogni di bambina.

 

Non c'erano grandi divertimenti in paese tranne il cinema, dove mio padre di tanto in tanto ci portava, quando davano film storici dove il buono di turno, il quale vinceva sempre, faceva scattare l'applauso liberatorio della platea.

E l'arrivo del cantastorie.

 

 

 

 

 

Quando arrivava il cantastorie era una gran festa per tutti. Posizionava il suo carrettino proprio davanti alla porta dei miei nonni e noi, in prima fila mettevamo le sedie dove i grandi prendevano posto, mentre noi bambini ci accoccolavamo per terra, e in piedi attorno al carrettino tutte le altre persone. Il cantastorie sistemava il cavalletto dove stendeva la tela con disegnate le scene della storia che doveva raccontare.

 

Erano storie d'amore e morte, di tradimenti, come quella di cumpare Turiddu e Donna Lola della Cavalleria Rusticana, o le storie infinite del bandito Giuliano, il “buon bandito” che toglieva ai ricchi e dava ai poveri.

 

Armato di chitarra e della sua squillante ed enfatica voce, iniziava quasi sempre riassumendo in breve la storia che avrebbe raccontato, poi accompagnato dalla chitarra illustrava la prima figura. Quando doveva sottolineare un quadro della storia un po’ più drammatico, smetteva con la chitarra e con una voce tonante dava enfasi a quel particolare momento.

Finita la storia che si concludeva sempre con una morale a favore della giustizia o del tradito, anche se poi tutti noi tifavamo per il bandito o per i cumpari Turiddu di turno, il cantastorie girava con il piattino fra il pubblico per guadagnare quel po’ di monete che gli servivano per vivere. Ma era l'applauso finale che il cantastorie amava di più, s’ inchinava per ringraziare, mentre tutti quanti gli chiedevano quando sarebbe ritornato e con quale storia.

Ma a queste domande rispondeva con un sorriso e con un “ A presto”.

 

Quando il cantastorie smontava la scena, un senso di nostalgia mi prendeva perchè quella chitarra, quella voce e quelle figure mi rimanevano scolpite nella mente fino alla volta successiva. Adesso che tutto si è modernizzato e che questi artisti girovaghi sono finiti tra le maglie della memoria di pochi, non mi resta che ricordarli con tutto l'affetto di cui sono capace perchè quel volto stupito di me bambina non abbia fine.