GUSTAVO COTTINO il più grande venditore di illusioni
di Elisa FONTANA
( da “In Cammino – Circhi & Luna Park” – gennaio 2010 )
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Ecco la vita di un venditore di illusioni: "dammi cinque lire e ti rovescio il mondo". Non è un funambolo da guardare col naso all'insù, nemmeno un patetico Zampanò, bensì un imbonitore, un uomo che delle parole ha fatto un'arte.
Gustavo Cottino, in arte Gustav Cotin, imbonitore, è nato il 27 Agosto 1923 a Pinerolo, un piccolo paese in provincia di Torino. È stato un vero artigiano della piazza, dove per farsi sentire tra migliaia di persone bisogna ingegnarsi e inventare trucchi sempre nuovi, strategie per attrarre l'attenzione e convincere la gente a comprare il biglietto d'ingresso per un mondo sconosciuto e affascinante, anche, e saprattutto, per i suoi “bidoni”.
Gustavo Cottino ha abbandonato la sua vita da "fermo", per iniziare una vita errante, a bordo di carovane attrezzatissime, portando in giro per l'Italia, e oltre, la sua impresa di spettacolo. Erano veri e propri teatri viaggianti, quelli che Cottino portava di piazza in piazza, alle fiere, alle feste paesane, alle celebrazioni del patrona delle più grandi città. "Baracche d'entrata", avvero strutture chiuse, di 30 o 40 metri quadrati, dipinte e allestite ad arte, contenenti le attrazioni più varie, dai nani ai giganti, dalle donne piattello agli esquimesi, dai cowboy, ai neri africani, fino alle cascate del Niagara. All'ingresso dei suoi padiglioni Gustav Cotin imboniva con fiumi di parole ricercate e studiatissime, con l'intento di accalappiare più gente possibile e far pagare il "modico tassato d'ingresso".
Il più grande venditore di illusioni del secolo scorso ci ha lasciati da poco (2010), ma le sue parole ci restituiscono il fascino di un personaggio che tutti i suoi amici (e sono tanti!) ricordano con un sorriso.
"Sono nato a Pinerolo (TO) il 27 Agosto 1923. Mio padre in quel tempo era tenente della Scuola di Cavalleria e poi affermato professionista assicuratore. Mia madre era maestra elementare. Abitavo in Piazza Fontana, dove ogni anno i baracconi installavano le loro attrezzature trainate da cavalli o camion con le ruote piene. Per pura coincidenza mia madre ebbe le doglie del parto assistendo allo spettacolo del Circo Gottani, alla fiera di Agosto. Quando da piccolo rimanevo solo mi costruivo le tende, i teatrini, imitavo Pierino e Fagiolino. Peccavo già di protagonismo! Mi distinguevo dagli altri miei amici legando i barattoli alle code dei gatti...questo era già Cottino! Facevo degli spettacolini mostrandoli poi ai miei genitori. Facevo Fagiolino e Pierino perché erano loro che si esibivano nelle arene quando venivano a Pinerolo quelli che, in gergo circense, si chiamavano "postoni", ovvero delle arene ginniche senza il tendone, dove organizzavano la lotteria e si esibivano i contorsionisti. Si pagava l'entrata per star seduti ma a fine spettacolo gli artisti facevano la questua col piattino, perché c'erano anche dei furbi che assistevano da fuori senza pagare. Mia sorella era contraria a questa mia passione e faceva la spia alla mamma delle mie scorribande fra gli artisti del viaggio... venni spedito come discolo a studiare dalla nonna, a Torino, senza pensare che lei sarebbe stata molto meno rigida.
Nel 1936, quando avevo tredici anni, la goliardia torinese, come risaputo, annoverava una miriade di squattrinati, fra i quali il sottoscritto, studente del quarto anno di agrimensura all'Istituto Tecnico Sommelier, con poco profitto. Trovai un capo claque dei teatri torinesi che mi ingaggiò per una manciata di spiccioli in uno dei tanti bar di via Po. La claque è una figura presente tra il pubblico di un teatro, incaricata di applaudire lo spettacolo in ogni momento, facendo il tifo soprattutto per l'artista che stecca. Questo era il nostro compito, per non rovinare le repliche già predisposte: e qui incominciò la mia illusione perché applaudivo anche un artista che non meritava...ma davo appunto l'illusione che fosse bravo scatenando l'applauso.
Intanto, nella vicina Piazza Vittorio di Torino, ogni anno imperversava il carnevale più importante d'Europa con le “primizie”, ovvero il meglio dello spettacolo viaggiante, italiano ed estero. Conobbi una ragazza il cui nome d'arte era Loy e si esibiva nel “Muro della morte”. Il muro della morte era una sorta di cilindro di legno di dodici metri di diametro in cui degli artisti spericolati correvano in moto e bicicletta in posizione orizzontale rispetto al suolo “affrontando a ogni giro di ruota e a ogni battito di motore la propria giovinezza!” - come recitava l'imbonimento. La Loy, di origine astigiana era nota per le corse stayer con la troupe del campione del mondo astigiano Gerby, al velodromo Vigorelli di Milano. Le loro gesta compaiono tutt'ora nell'enciclopedia dello spettacolo. La Loy, quando è venuta a fare il muro della morte, era già una spericolata ciclista stayer. Quando ho visto questa ragazza esibirsi, non ero attratto soltanto dalla sua audacia, dalla sua temerarietà, dalla sua bellezza, ma soprattutto dal suo stile di vita che, alle prime confidenze, mi aveva entusiasmato. Oltre all'attrazione per la donna c'era il fascino per un mondo che avevo sempre sognato. Avevo quattordici anni, andai a vedere lo spettacolo della Loy e mi innamorai di lei. Non studiavo più, aspettavo solo sempre lei. Il suo principale mi mandava via, ma io mi nascondevo dietro il banco dei torroni per poterla vedere meglio.
In una visita ai miei genitori a Pinerolo dissi al babbo che volevo seguire quella ragazza e che non desideravo più studiare: volevo dedicarmi agli spettacoli popolari viaggianti. Il babbo, che era in piedi, si afferrò a un tavolo per non cadere e mi chiese se ero impazzito: eppure ero cresciuto fino a quattordici anni senza dare segni di “squilibrio”, nonostante in alcune occasioni, dopo la fiera, egli mi mandasse a cercare e mi facesse riaccompagnare a casa dai carabinieri perché seguivo i “migrantes”, oppure venivo pescato nel casino con la carta truccata.
Venne la guerra. Nel 1945, dopo la Liberazione, quando a piedi con la Croce Rossa rientravo in Italia dalla Germania, deportato per non aver aderito alla Repubblica Sociale, le prime luci si accendevano nelle strade e nei luna park. Cercai la ragazza che non avevo mai dimenticato, la Loy, che impalmai poi nel 1949 a Gorizia. Entrai quindi di prepotenza a far parte degli imprenditori viaggianti.
Quando entrai nei viaggiatori venivo chiamato "contrasto". Non era un disonore, era meglio di "gagio" o "bergantino". Bergantino, dal nome di un paese nei dintorni di Rovigo dove vi costruivano le giostre, per noi era il contadino che vendeva la terra per venire a fare il nostro mestiere. "Contrasti", invece, sono tutti quelli che hanno fatto lo spettacolo viaggiante pur non essendoci nati.
Viaggiavo con il Muro della Morte di mia moglie insieme a Malerba, con super macchine cabriolet. Mi spostavo dal Nord al Sud e a volte anche all'estero. Il mio ruolo nello spettacolo era naturalmente quello di invitare il pubblico a entrare, convinto dal mio imbonimento. Per scatenare maggiormente l'interesse e il brivido nel pubblico facevo entrare nel cilindro un gruppo di leoni, mentre mia moglie volteggiava intrepida e accarezzava loro le orecchie, per poi tornare sulla sommità del cilindro. Il domatore si chiamava Alberto Gottani.
La Loy, intanto, soffriva le vibrazioni della moto, pregiudicando la sua maternità, che venne più volte interrotta. Vedendo altri che con lo stesso sistema di illusione e con poco rischio facevano quattrini, pensai fosse arrivato il momento di entrare nella mischia! Ritirai le mie quote del Wall of Death Cottino-Malerba (nella società lui aveva messo il muro della morte io la mia arte e quella della mia signora) e partii per New York, precisamente per Coney Island, per imparare ancor meglio l'illusione e la fiction.
Con me tentò l' avventura un mio grande amico ora deceduto Silvio Matera, in arte Silver Mater, grande imbonitore che teneva sempre allegra la nostra compagnia. Eravamo molto affiatati, anche nel dimenticare di saldare i conti negli alberghi. Nel frattempo i dollari finivano, dormivamo nei padiglioni - lillipuziani, giganti, indiani - che si trovavano a Coney Island, senza foglio di soggiorno, finché non fummo scoperti da un controllo, espulsi e imbarcati per l'Italia dove ci attendeva la segnalazione per "espatrio clandestino" che purtroppo ci siam tirati sulle carte della fedina penale con cinque anni di condizionale. E questo incideva molto perché per cinque anni non ho più potuto uscire dall'Italia.
Matera mi fece provare qualcosa di eccezionale, fu per me un vero esame, perché io riconosco che lui è stato in parte il mio maestro. In attesa di scegliere ognuno la nuova baracca d'entrata decidemmo di allestire la "lotteria con le buste". Eravamo sprovvisti di tutto, non avevamo nulla. Affrontammo la festa patronale in Piemonte con alcune corde che delimitavano lo spazio di circa trenta metri davanti e a ridosso di un grande negozio di biciclette, che ci serviva per parata, perché non avevamo niente. Alcuni di quei cicli, non nostri, venivano inseriti in qualche busta come premio. Facevamo scegliere alla gente, venti lire ogni puntata, e a ogni apertura il cuore mi batteva all'idea che ne uscisse la bicicletta, anche se, ovviamente, le buste erano segnate. Tutto filò liscio e regolare per un'ora: il proprietario pensava di aver annoverato fra i nuovi clienti due baldi impomatati giovanotti di belle speranze, simpatici e operosi. I suoi occhi brillavano di furbesca gioia. Era un omone di un metro e novanta d'altezza, grosso come un armadio e si sfregava le mani per il successo, come un bambino, con segni di approvazione, sperando in molte vincite, cioè che vincessero le biciclette perché le avremmo comperate da lui.
Arrivò uno spavaldo del paese con una cabriolet parcheggiata poco distante, che insisteva con le puntate: voleva vincere la bicicletta a tutti i costi. Mi tremavano le gambe, tenevo d'occhio la mia motocicletta all'angolo per sparire, eventualmente. Silvio Matera era freddo e balbettava frasi sconnesse. Ad un certo punto fece sparire la monetina nella manica: mi sembrava un sogno. Annunciava giochi di prestigio per distrarre la gente e prendere tempo. A un certo punto il ragazzo scelse una busta. Matera la portò repentinamente alla bocca e cominciò a masticarla: era quella della bicicletta, aveva anche la chiusura metallica! Tutti sfondarono la barriera mettendogli le mani in bocca, lo solleticavano per farlo rigurgitare, stavano menando quando due carabinieri provvidenzialmente intervenirono e ci portarono in caserma. Il maresciallo ci fece sedere gentilmente, volendo sapere tutti i particolari di questo pandemonio. Annunciò alla gente che sbraitava fuori dalla finestra che nella busta si trovavano le venti lire e non la bicicletta, come giustamente tutti avevano intuito. Come si poteva provare il contrario? L'aveva già mangiata dalla paura. Ci fece scortare più tardi fino alla cinta daziaria, senza farci salutare nemmeno l'omone di un metro e novanta che si era divertito e aveva messo a rischio le sue biciclette pregandoci gentilmente di non tornare mai più... la fame ci faceva fare quel lavoro lì.
Dal 1950 al 1994 Gustavo Cottino ha portato nelle piazze d'Italia e d'Europa, attrazioni sempre diverse, frutto di un'immaginazione fervida e brillante. Ricordiamo le più significative.
1950. LA DONNA SERPENTE La Donna Serpente è la prima baracca d'entrata che Cottino presenta, nel 1950, al suo ritorno dall'America, dove ha lavorato per il Ringling Bros and Barnum & Bailey Circus. Si tratta di un padiglione in cui si ammira una donna, spesso la moglie Loy o "la prima sgualdrina che trovavo in giro, anche un uomo!" il cui corpo, a partire dalla cintura, termina in una coda di serpente.
Lo stratagemma è architettato in modo che la donna, seduta su di un materasso, con le gambe all'interno dell'imbottitura, porti, applicata sul suo ventre, una coda di serpente, costruita con lattice sagomato, adagiata sopra il materasso. Si ha l'illusione di una donna sdraiata con le gambe unite in una coda di serpente. Anticamente c'era la donna sirena, ma era fatta male, era fatta con un buco in un tavolo.. Ma non smuoveva la curiosità della gente come la mia donna serpente, quella vera, che muoveva la coda, presentata col materasso, con gli infermieri, con tutto il frasario. lo ho vivificato... mica ho detto che ho inventato niente.
La lezione americana del grande Circo Barnum e del suo "side show" è già entrata nella modalità di esibizione della neonata "Cotin Parade"
1966. CASCATE DEL NIAGARA. "Per la costruzione di questo padiglione mi ispirai ad un nastro trasportatore di bagagli, visto all'aeroporto di Milano: pensai che sarebbe stato fantastico fare la stessa cosa con le persone". Ecco realizzata la vocazione di Gustavo Cottino, la vera illusione, il "bidone" per eccellenza, il frutto più maturo di un ciarlatano di professione. "Costruii le Cascate del Niagara, con all'esterno la dicitura: "Mezzi anfibi sempre pronti". Aiutanti vestiti da speleologi con le tute di gomma per far vedere che lavoravano nell'acqua, fontane e rumori acquatici. "Ecco i nostri inservienti, i nostri speleologi, eccoli là, pronti! Si può già partire con le altre barchette?" Il padiglione era alto una decina di metri, su due piani, decorato con immagini di grotte. Ogni tanto una comparsa faceva irruzione tra il pubblico, vestita con una tuta di gomma, bagnata fradicia, come fosse appena uscita dall'acqua o dall'umidità delle grotte. Dall'esterno il padiglione prometteva un viaggio all'interno di una ricostruzione di grotte, con tanto di cascate - le Cascate del Niagara, appunto - visitabile su dei "mezzi anfibi": barchette allineate come tante se ne vedevano nelle case degli orrori.
Invece di barchette non ce n'erano: c'era solo un motoscafo appeso fuori. Il pubblico prendeva il biglietto e pazientemente saliva all'esterno sino alla sommità della passerella, gli si consegnava il salvagente ed entrava in un corridoio dove c'erano un po' di scheletri e un po' di tutto, un po' di buio... i fidanzati... "toca mi, toca ti...". Prima di entrare si giravano e salutavano gli astanti, come se dovessero partire. Poi venivano fatti accomodare in una cabina buia. Loro si sedevano tutti tranquilli, sembrava di esser seduti su un pullman. Alle spalle, se si giravano, scorgevano la scritta burlesca: "Ecco le cadute del Niagara!". Un bel momento un inserviente tirava la maniglia, si apriva la porta, il sedile si distendeva e loro... zum! di colpo la cabina si sfasciava e i passeggeri, con le gambe per aria, scendevano questo nastro di due metri di lunghezza con ondulazioni spaventose, sino a terminare in un grande imbottito materasso. E mentre scendevano assumevano le posizioni più comiche..
1967. BOLOGNA DAL VERO. Spesso, quando le condizioni economiche o climatiche sono avverse, ci si deve ingegnare escogitando un'attrazione efficace che non richieda un grande impegno economico. È qui che si dimostra l'arte dell'imbonitore, di un personaggio dello spettacolo popolare, capace di cogliere gli stimoli della realtà quotidiana e di saperli trasformare in spettacolo, giocando sulla curiosità, sull'equivoco, sul fascino e sulla sfacciataggine. Dopo le Cascate del Niagara Gustavo Cottino presenta un'altra attrazione tutta giocata sull'equivoco. È qui che l'imbonimento dimostra la sua poetica. Superata la fase in cui la presentazione davanti al padiglione rappresenta soltanto un mezzo per far entrare il pubblico, si passa a un momento in cui l'illusione rappresenta la costruzione di una realtà diversa, quella a cui Cottino si riferisce quando si definisce "venditore di illusioni". Cottino riesce a creare un allestimento in cui i diversi linguaggi - scenografico, verbale, performativo - concorrono a costruire l'illusione che prima veniva affidata al solo imbonimento. L'illusione di trovare all'interno del padiglione qualcosa che, secondo il senso comune, ci si aspetta, viene disattesa. Senza lasciare tuttavia la possibilità di gridare "all'imbroglio", in quanto un significato parallelo giustifica il tutto. Il Padiglione è situato sulla piccola collina che dà su Piazza Otto Agosto a Bologna, chiamata "Montagnola". È stato costruito usando una tenda su cui sono stati praticati dei fori, larghi circa cinque centimetri, attraverso cui si può guardare verso l'esterno, la città di Bologna, grazie alla posizione sopraelevata rispetto al resto della città. Sulla facciata campeggia un pannello decorato con l'immagine di una veduta di Bologna, dipinto come se si trattasse di un grande plastico posto sopra un tavolo. Le gambe del tavolo, dipinte sul pannello, incorniciano l'entrata: si ha l'impressione di entrare in una ricostruzione in scala della città.
Sulla facciata del baraccone era pitturato il paesaggio bolognese: era un panorama copiato da una cartolina e appoggiato sopra un'impalcatura dipinta come fosse un grande tavolo, cosicché la scenografia esterna al padiglione raffigurava un tavolo con sopra un grande plastico. La gente entrava e non vedeva nulla, anzi, vedeva altri spettatori con il sedere per aria che guardavano nei neri buchi verso l'esterno. Dalla Montagnola si vedeva Via Mazzini, la stazione... e tutto! Si vedeva Bologna dal vero! Ogni tanto uno gridava: "Ma dov'è sta Bologna dal vero? Si guardavano esterrefatti l'uno con l'altro. Nell'uscire la gente consigliava agli altri astanti di entrare, senza svelare il segreto, dicendo: "Bellissimo!": erano i miei propagandisti!
1969. GOLlATH LA BALENA Goliath la Balena, un'enorme costruzione di ventiquattro metri rinchiusa in un camion articolato, arriva in città. I giornali riportano la notizia dell'arrivo al porto dell'enorme carico, in seguito a messaggi inviati da Cottino ai giornalisti. Dall'impresa Marinoni acquistai una balena di ventiquattro metri che terminava la sua tournée in Asia e Medio Oriente. La caricammo ad Haifa sulla nave fuori coperta. "Purtroppo un violento fortunale ci sorprese a duecento miglia dal porto di Bari distruggendo la copertura ed una parte di essa. Fui obbligato allo scarico e a nascondere il trasporto nei capannoni della fiera di Bari perché ricostruimmo il tutto di cartapesta. Erano rimasti originali solo i suoi lunghi fanoni." L'allestimento dell'attrazione viene fatto con grandi manifesti che riportano scene di cattura delle balene. Tuttavia, per non suscitare reclami da parte degli ambientalisti, come afferma lo stesso Cottino, vengono affissi anche manifesti recanti scritte: "Fermiamo la strage delle balene". Una perfetta messa in scena per un animale di cartapesta che, attraverso questi piccoli accorgimenti, suscita un seppur remoto dubbio sulla sua originalità. Tanto che Cottino racconta di alcuni scambi di battute tra il pubblico e l'imbonitore, il quale, stimolato dalla perplessità degli spettatori, coglie l'occasione per fare della sottile ironia, giocando sull'equivoco, come lui sa fare con grande abilità.
Dicevo: "Ma come può lei pensare?" Gli davo dell'ignorante: "Ma lei non sa che viene a vedere... secondo lei... è un mammifero?" "Sì sono mammiferi" rispondevano loro "Questi mammiferi dove vivono? Vivono in profondità e si nutrono di... mi dica lei, mi dica... si nutrono di plancton e il plancton c'è solo nella soluzione marina e qui non potrebbero vivere. Ecco perché lei non deve pensare che in un rimorchio di venti metri ci sia una balena viva. lo non le do dell'ignorante, ma lei farebbe meglio a non reclamare. Lei è venuto dentro per vederla viva? Lei non lo dica a nessuno!". E allora tutti si guardavano in giro e nessuno protestava più".
Questo è stato Gustavo Cottino, un imbonitore di piazza, ma soprattutto un esteta, un poeta dell'immagine e un architetto dell'immaginario, il più grande Venditore di Illusioni.
L'imbonitore, come uno che va a giocare al casinò non ne ha mai abbastanza, non è mai sazio. L'imbonitore viene attratto dalla curiosità del pubblico e vede che la sua parola è ciò che l'ha convinto a entrare. A quel punto potrebbe anche lasciare che il pubblico affluisca senza disturbarlo oltre, ma tutta quella gente che entra lo eccita. In fondo è la sua ragione di guadagno. Alla fine c'è anche illegittimo orgoglio di essere riuscito nel suo intento.
Elisa Fontana si occupa di arte e spettacolo. Ha conosciuto Cottino nel 2001, per redarre la sua tesi di laurea. Da allora è nata una solida amicizia, che è durata quasi dieci anni. Elisa è ora la depositaria dello "sbiancamento", ovvero lo svelamento di tutti i trucchi del mestiere di Cottino. Questo articolo è tratto dalla sua tesi di laurea. |
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