IL MIO REGNO PER UNA STRADA

 

di Massimo J. MONACO

 

 

 

 

"Buona strada" mi disse un giorno Felice Pantone salutandomi.

Compagno d'organo di barberia e artista di strada come me era il miglior saluto che potesse fare.

La strada infatti è, o dovrebbe essere, il nostro regno felice, ma tale oggi lo è raramente.

"Il mio regno per una strada" griderebbe inutilmente Riccardo III fattosi attore girovago.

Magari! Avremmo meno guerrieri e più artisti.

C'è qualcosa di magico e misterioso nel rapporto che da secoli lega l'artista alla strada.

Ma oggi, almeno in Italia le strade non sono più molto buone, tranne nelle rare occasioni canonizzate da un festival e anche in questi casi capita che l'attore viva un senso di estraneità e di solitudine.

D'altra parte troppe sono le leggi che regolano le sue possibilità di apparire e troppe le pressioni e gli interessi  commerciali sulle "buone strade" dove esibirsi a cappello.

Chissà, forse l'attore di strada è visto oggi più come un possibile concorrente commerciale che come richiamo.

Se il passante guarda l'artista, non guarda le vetrine e la catena consumistica si blocca.

Ricordo di avere letto che all'inizio del secolo, ci fu in una strada di Napoli, una sollevazione popolare contro alcune guardie che volevano allontanare un cantastorie reo, secondo la legge, di disturbo e accattonaggio.

Che accadrebbe oggi? Il pubblico lo difenderebbe il proprio artista o lo lascerebbe solo?

Mi domando se esiste ancora quel misterioso legame speculare che permette al pubblico di specchiarsi nell'artista di strada e di scoprire nelle sue storie e nei suoi lazzi i propri desideri e difetti.

Chissà se il pubblico è ancora capace di ridere di se stesso.

Oggi l'artista, rispetto al mercato dello spettacolo, mi appare marginalizzato, anche se a mio parere, questa marginalizzazione potrebbe acquisire il sapore di una gradita scelta anarchica tanto che, spero, essa possa persistere e rinnovarsi continuamente negli anni.

Come intellettuale sento la necessità per una libera alternativa allo show business e come artista di strada ne rivendico la dimensione variopinta e indipendente da formalismi e schemi.

La strada come spazio di creazione e creatività.

Naturalmente non parlo per tutti, a ognuno le sue scelte, ma quanto sarebbe spettacolarmente più umana una città che vedesse ogni giorno fiorire tranquillamente nei suoi spazi gli artisti di strada.

Vedo la loro assenza come il segno del degrado urbano.

Attenzione, non parlo di animazione, parola che trovo consunta per ciò che essa ormai racchiude, ambigua per ciò che spesso giustifica e che amo, parlo di arte della rappresentazione popolare nei differenti aspetti e nel mio personale caso si tratta di cantastorie e musica meccanica.

 

CHE LA FESTA COMINCI

 

Sogno davvero una "buona strada" da percorrere con un pubblico a cui sono gradito, una strada cui portare il canto, le immagini dei moritaten e la musica del mio organo di barberia.

Posso dirmi avvantaggiato: la sola  presenza dell’ organo sulla strada è già occasione di spettacolo e di richiamo, sia per la leggenda che circonda lo strumento che per il suo anacronismo da Jurassic Park.

Non è raro sentirmi chiedere: “ Ma è vero? Ma funziona ancora?... “. Ci mancherebbe che no.

Lunga vita agli organi di barberia, ai loro cartoni, e soprattutto ai loro "tourneurs des manivelles", come li chiamano i francesi.

Considerate la loro attività come un omaggio al lavoro manuale;  così come una volta gli schiavi giravano la ruota essi oggi, liberti ma schiavi dell'arte, girano la manovella e vi assicuro che di forza nel braccio, dopo due o tre ore di giri, ce ne vuole molta.

Non ci s'improvvisa artisti della manovella.

Tanto per fare un esempio il cartone  della Ballata di Mackie Messer, che è un brano abbastanza breve, richiede 332 giri di manovella.

In Italia, a differenza degli altri paesi europei di tourneurs des manivelles, ce ne sono pochissimi - d'altronde pochi sono gli organi - e questi pochi sarebbe bello poterli vedere un giorno tutti insieme presenti in qualche festival.

Chi non è mai stato a un festival di organi di barberia, cioè di musica meccanica, non sa quali stupende sonorità pervadano l'aria di quelle giornate.

Cercate d'immaginare cosa possa significare l'invasione di un paese e la sua messa a suono e canto da parte di minimo cento organi di barberia tutti divisi per stile, musicalità, dai piccoli portativi ad ance come le Celestine, fino ai grandi Limonaire automatici, passando naturalmente attraverso i classici veri e propri Organi di Barberia a manovella con tanto di carretto; immaginate quale stupenda cromaticità musicale e visiva si presenta agli spettatori.

Un vero inno alla musica e allo spettacolo di strada. A quando da noi?

 

UN ORGANO DI BARBERIA SULLA STRADA DI UN QUADRO

 

Parlando di artisti di strada e in particolare di organi di barberia, c'è un quadro al Folkwang Museum di Essen verso cui il mio pensiero spesso corre.

E'un olio novanta novantacinque, dipinto nel 1928 da Franz Radziwil, pittore attivo nella corrente tedesca della Nuova Oggettività, che ha come titolo Karlßucbstatter's Fatal Dive (il fatale tuffo di Karl Buchstatter's).

Il quadro in sé non avrebbe niente di particolare se non fosse per alcune riflessioni che possono scaturire, credo, solo dalla mente di un attore di strada e in particolare da un cantastorie.

Ricordo che la prima cosa che mi colpì guardando il quadro, fu l'immagine di una piccola figura piegata che porta sulle spalle un organo di barberia; al primo sguardo neppure ci si fa caso tanto l'immagine è piccola, ma osservata nel contesto dell'intero dipinto essa diventa la chiave di comprensione.

La seconda cosa importante è nel titolo e in ciò che esso racconta.

Ma andiamo con ordine; io cercherò di descrivere il quadro e voi cercherete d'immaginarlo.

Il cantastorie entra in azione.

Una larga strada di paese, sterrata, di colore scuro proiettata verso il fondo del dipinto; sulla sinistra, nell'ordine, si erge un gigantesco pilone per l'elettricità, una torretta di controllo in mattoni rossi, le sbarre alzate di un passaggio a livello che puntano verso il cielo come mitragliatrici, alcune case che costeggiano sempre il lato sinistro della strada e nel mezzo di queste un altro pilone elettrico.

Guardando sulla destra della strada vediamo un canale, il ponticello per la ferrovia e alcune case.

Alla fine della strada, quasi all'orizzonte c'è un mare bianco di ghiaccio su cui si percepisce una piccola nave.

Tornando indietro sulla strada, all'altezza dei passaggio a livello, c'è la piccola figura che porta sulle spalle un pesante organo di barberia.

Non so se l'uomo stia entrando o uscendo dal paese, ciò che vedo è un omino che cammina nella strada deserta. Su tutto incombe immenso un cielo assolutamente nero su cui si staglia un piccolo biplano colto nell'attimo della picchiata. Potrebbe essere notte oppure giorno senza luce.

Nella assoluta immobilità dell'aria aleggia l'attimo e il presagio del mistero.

Il quadro racconta la storia di Karl Buchstatter, leggendario e spericolato pilota collaudatore, morto precipitando durante una prova di volo.

L'unica figura umana del quadro è l'omino con l'organo, il resto sono case ed elementi del progresso: piloni elettrici, ferrovia, ponte, nave e aereo.

Il dipinto dà un'idea di assoluta solitudine e di mistero reso ancora più intenso dall'uso di colori molto carichi, rossi e marroni terrosi, grigi acciaio e neri senza alcuna luce.

Il solitario aereo, arrivato al culmine della cabrata, sta ora tuffandosi per l'ultima volta nel nulla di un cielo nero e come Icaro senza più ali scompare dalla realtà per precipitare nella leggenda.

A questa tragedia assiste solitario un artista di strada, musicista ambulante e forse cantore di ciò che la strada sta rappresentando sotto i suoi occhi.

"Fatal Dive", fatale tuffo, dice il titolo suggerendoci qualcosa legato al fato, al destino, un potere incontrastato e misterioso che si offre unicamente agli occhi e alla voce di un cantore ambulante.

Ma anche la scelta della parola "Tuffo" è importante perché in essa non c'è alcun sentore di morte, anzi è vitale perché ci accompagna nell'azione: ci tuffiamo nell'avventura, nella storia, nella leggenda.

Guardando questo quadro penso che Omero cammini ancora per le nostre strade: una cetra, una chitarra o forse un organo di barberia gli fanno compagnia.

Se lo incontrate siate gentili, rimanete con lui, ascoltatelo, guardatelo e quando starà per andare augurategli: "Buona strada".