LA CULTURA VIEN CANTANDO

 

di Emilio JONA

 

( da “ NUOVASOCIETA’ ” – 15 ottobre 1973, n° 19 )

 

 

Un saggio di rottura su folklore, miti e tradizioni popolari.

Le suggestioni della sociologia e le insidie del consumismo.

Come difendere i valori delle classi subalterne.

 

 

 

 

Il saggio di Luigi Maria Lombardi Satriani « Folklore & Profitto - Tecniche di distruzione di una cultura » (Guaraldi Editore, lire 1.200) si raccomanda alla lettura non soltanto dei pochi addetti ai lavori, ma dei molti interessati a prendere consapevolezza della realtà e dei problemi di una cultura subalterna, la cui sorte è stata quella di essere negata o distorta dalla cultura dominante, che oggi è uscita dall'ombra ed è entrata in un circuito culturale più ampio sospinta dall'iniziativa di intellettuali e dall'interesse dei giovani, e il cui futuro tuttavia sembrerebbe quello della distruzione, anche ad opera della cultura del profitto che la sottopone globalmente ad una operazione di consumo.

 

Di qui l'esigenza di chiarire a livello teorico che cosa sia il folklore, quale sia il suo ambito, quali i suoi rapporti con la cultura di massa e quale il suo destino.

 

 

              

 

 

Lombardi Satriani nega che le tradizioni popolari debbano essere viste unicamente come effetto di un ritardo culturale delle classi subalterne, e afferma che esse vanno viste anche e soprattutto come cultura in contrapposizione a quella della classe egemone. Ricorda il noto passo di Marx ed Engels dell'Ideologia Tedesca: «Le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti, cioè la classe che è la potenza materiale dominante della società è in pari tempo la sua potenza spirituale dominante... cosicché ad essa in complesso sono assoggettate le idee di coloro ai quali mancano i mezzi della produzione intellettuale»; la classe dominante rappresenta il suo interesse «come interesse comune di tutti i membri della società», ossia per esprimerci in forma idealistica dà alle proprie idee «la forma dell'universalità» e le rappresenta « come le sole razionali e universalmente valide».

 

 

      

 

 

Ma il folklore adduce altre testimonianze contrapposte alla pretesa universalità della cultura dominante e svolge nei confronti della stessa una funzione contestativa, anche se non sempre consapevole ed esplicita; perciò lo studio del folklore può essere un mezzo efficace per scoprire il meccanismo dell'ideologia e in particolare il suo aspetto mistificatorio là dove «sfumando la realtà concreta nella sfera di un dover essere etico lo spaccia come già esistente».

 

Esempio: “La legge è uguale per tutti”, è un'affermazione ideologica cui il folklore contrappone: “La legge è uguale pe' tutti / cu àvi dinari si nnifutti”; “Unni c'è forza e dinari / la ragiuni nun vali”.

 

 

                 

 

 

Così l'affermazione ideologica che la scienza medica è fruibile da tutti, è negata dal comportamento dei devoti di una maga del Mezzogiorno che affrontano viaggi e disagi per risolvere un loro problema di ordine strettamente medico, mentre al cattolicesimo egemone delle cerimonie e della devozione ufficiale si contrappone, contestandone l'universalità, quello popolare di chi, mosso da un bisogno estremo di protezione e di aiuto, balla per liberarsi dal morso simbolico di un santo, piange e grida davanti alla statua della Madonna, reca in offerta “ex voto” arcaici quali gambe e animali di cera.

 

 

                             

 

 

         

 

 

L'ipotesi di fondo è perciò quella che «il folklore vada interpretato come una specifica cultura elaborata con diversi gradi di frammentarietà e consapevolezza dalla classe subalterna, con funzione contestativa nei confronti della cultura egemone prodotta dalla classe dominante».

Questo non esclude che il folklore svolga anche una funzione narcotizzante di adattamento alla società, ed in questo senso esso è cultura dominata e ambivalente. La sovra valutazione di questo aspetto ha fatto sì che buona parte della cultura marxista italiana si sia disinteressata del folklore, ritenendolo senz'altro manifestazione di reazionarismo. Invece la sua struttura è esplicitamente o implicitamente contestataria, e da essa bisogna partire favorendo «il processo di consapevolezza da parte della classe subalterna dello sfruttamento di cui è oggetto e della necessità del rovesciamento di tale situazione».

 

 

   

 

 

              

 

 

La scienza folklorica ha certamente seguito una strada opposta; nata da una matrice ideologica romantico-nazionalista ottocentesca, ha ancorato il folklore al concetto di tradizione, presentandolo, per un'ottica classista e riduttiva, come una cultura statica, legata ad antichi motivi culturali, propri degli strati più «semplici» e, come tali, «più felici» della popolazione.

Per cui nel migliore dei casi il folklore è concepito come una sopravvivenza, come un relitto culturale, e non come una realtà attuale; ciò che viene indagato è il passato o la vita dell'antichità nel presente e in questo modo si è potuto ignorare ed escludere totalmente tutte le forme di cultura e di protesta operaia e contadina.

 

Con tale impalcatura ideologica, indipendentemente dall'esistenza di ottime indagini filologiche o di preziose memorie erudite, l'indagine è sostanzialmente quella delle discipline storico-letterarie e mai quella della scienza dell'uomo.

 

Sulla scorta delle sintetiche indicazioni di Gramsci e più della svolta radicale impressa da Ernesto De Martino agli studi demologici, la direzione di studio auspicata da Lombardi Satriani è invece «quella opposta dalla integrazione dei metodi di lavoro e della trasformazione della scienza folklorica in scienza sociale».

 

 

   

 

 

     

 

 

Assunto così il concetto di cultura nella sua accezione antropologica cade la utilità della distinzione tra ciò che è stato appreso «per tradizione» e ciò che è stato acquisito per qualsiasi altra via, e il termine di riferimento si sposta necessariamente dalla cultura ai portatori di essa, operai, contadini, che hanno come dato comune di essere ambedue classi subalterne.

 

 

 

 

Il folklore diviene così la «scienza della cultura delle classi subalterne» che ha per oggetto «l'analisi delle condizioni reali, economiche e culturali della vita dei dominati ed ha la sua funzione essenziale nella descrizione esatta di tali modalità. Una scienza folklorica marxisticamente intesa -  scrive Lombardi Satriani - non può che essere una rigorosa scienza sociale connessa, oltre che con le discipline storico-filologiche come finora è per lo più avvenuto, con quelle socio-antropologiche. La ricerca sul campo, che significa osservazione diretta e partecipazione-implicazione con la realtà umana oggetto di studio, è indispensabile per la vitalità stessa della scienza folklorica, così come è indispensabile che siano indagati tutti gli aspetti della cultura attuale delle classi subalterne, mentre i documenti fornitici dai folkloristi del passato debbono essere sottoposti "ad un'opera di verifica e di contestualizzazione"».

 

 

         

 

 

Torna puntuale a questo proposito la citazione di uno scritto di De Martino che afferma che «il problema della vita culturale delle masse contadine meridionali è certamente un problema di scuole, di diffusione della buona stampa, di libri, ma non bisogna dimenticare coloro che, per le condizioni obiettive di esistenza, possono essere guadagnati alla scrittura solo in modo incerto, per i bisogni pratici del firmare, scrivere una lettera, fare di conto e simili, ma non per i bisogni più propriamente culturali, cioè per la lettura di un libro che faccia avanzare realmente il grado di cultura.

 

 

     

 

 

Per costoro, che sono la maggioranza (e che per molto tempo lo saranno ancora) delle masse contadine meridionali, il grande mezzo di reale progresso culturale è lo sviluppo e l'ammodernamento della tradizione orale, nei suoi aspetti positivi di riadattamento, mercè nuovi contenuti e nuovi significati, delle rappresentazioni drammatiche, dei vecchi temi melodici e letterari del canzoniere popolare ecc. Una mascherata carnevalesca, una festa per S. Antonio, protettore di maiali, e anche una "passione" possono riaccendersi di nuovi significati; vecchi canti della mietitura, della sarchiatura, della vendemmia possono acquisire nuovi accenti, in rapporto alle nuove aspirazioni moderne; e di fatto mi è accaduto di ascoltare, in un paese della Lucania, un vecchio canto di carcerati riadattato a raccontare una dura vicenda di lotta per la terra».

 

 

 

 

La seconda parte del libro di Lombardi Satriani, è dedicata alle «tecniche di etnocidio», cioè alle modalità con cui la cultura dei consumi uccide la cultura folklorica.

 

La cultura del profitto tende a far confluire il protagonista della cultura folklorica nella categoria onnicomprensiva del consumatore. La pubblicità usa quindi finalisticamente e disinvoltamente il folklore a fini consumistici. L'autore ne offre un'ampia esemplificazione attraverso le fiabe propinate dalla pasta Barilla o dai liquori Ottoz, l'uso di un noto cantastorie siciliano per reclamizzare in Sicilia il formaggio Galbani, le feste popolari tradizionali trasformate in sagre esotiche reclamistiche per la valorizzazione turistica della regione, in spettacoli costruiti per essere visti dall'esterno e non più festa, rito, dramma partecipati come protagonisti.

 

 

 

 

Non si tratta però, secondo il nostro autore, di promuovere crociate per la conservazione del patrimonio folklorico, in quanto indubbiamente il folklore è una «cultura legata a condizioni di miseria, di bisogno e di esclusione delle classi subalterne», anzi, proprio perchè si auspica la fine di quelle condizioni è auspicabile anche la fine di questo folklore, non tanto abbandonandolo, quanto sviluppando i suoi contenuti più oppositivi e critici, trasformando la cultura folklorica interrompendone il suo «strano destino, di costituire una cultura negata - attraverso il disprezzo, l'utilizzazione strumentale, l'esaltazione - sia dalle varie ideologie elaborate via via dalle classi al potere, sia da quanti intendono lottare contro tale potere, ma ne subiscono, involontariamente, i condizionamenti culturali».

 

 

                                       

 

 

                                       

 

 

Chi ha seguito su Nuovasocietà la rubrica “Cultura di base e classe operaia in Piemonte” potrà notare le concordanze tra analisi, metodo e prospettive ivi enunciate e quelle espresse da Lombardi Satriani. Si tratta di un dibattito teorico, di ricerche e di iniziative concrete comuni a gruppi di ricercatori e operatori culturali; possiamo ricordare ad esempio gli scritti di Gianni Bosio e di Cesare Bermani (G. Bosio «L'intellettuale rovesciato - Interventi e ricerche sulla emergenza d'interesse verso le forme di espressione e di organizzazione “spontanee” del mondo popolare e proletario» Edizioni del Gallo, Milano 1967; C. Bermani «L'altra cultura - Interventi, rassegne ricerche - Riflessi culturali di una milizia politica (1962-1969), Edizioni del Gallo, Milano 1970).

 

Come postilla ricorderei che le due culture hanno rapporti complessi, articolazioni di vario segno e non esclusivamente predatorio-consumistico, che il saggio di Lombardi Satriani lascia in ombra. Questi rapporti anche se non modificano il disegno di fondo tracciato dall'autore non vanno sottovalutati.

 

 

                             

 

 

Il folklore gioca un ruolo fondamentale, e per le masse contadine meridionali forse insostituibile, di fondazione e riconoscimento di una identità culturale delle classi subalterne, di presa di coscienza di se stesse, della propria storia ed espressività (si ricordi che gli italofoni negli anni attorno al 1870 erano a mala pena il 2,5% della popolazione); da esso bisogna partire, ma per andare oltre, superando la sua parzialità, la sua inferiorità, il suo lato apparentemente immobile, la sua ratificazione di una oppressione e la semplice testimonianza o denunzia della medesima.

 

 

 

 

L'emancipazione anche culturale delle classi subalterne avviene non soltanto con il riconoscimento della propria antica specifica cultura, ma con l'appropriazione di quanto la cultura egemone ha elaborato nelle arti e nelle scienze, specie in questo ultimo secolo, come tecniche espressive e come lucida rappresentazione e analisi di sè, delle sue strutture, storia e destino. Le classi subalterne hanno il «dovere storico» di rendere reali, cioè universali e collettivi, quei valori (libertà, uguaglianza, diritto di accesso al sapere, al benessere) affermati dalle classi dominanti solo in modo ideologico cioè idealistico e mistificato.

E questo passa anche attraverso la «distruzione», a suo tempo, del folklore.