LA GIOSTRA

 

di Joseph ROTH

 

( da " Il Caffè dell'Undicesima Musa " - ADELPHI EDIZIONI )

 

 

 

 

In marzo un sole molto promettente fa spuntare qua e là dal suolo della periferia un «carosello ». Si percorre una strada interminabile, lungo casermoni grigi, e intanto i negozi si fanno sempre più radi e più sporchi i bambini. A ridosso del viadotto la strada si apre  all'improvviso, le sue ganasce spalancate lasciano vedere uno spiazzo: un prato o qualcosa del genere. Non è ben chiaro. La città non ha ancora deciso se qui vuole espandersi o fermarsi; una titubanza, un'incertezza che si coglie un po' ovunque: nella staccionata, che vorrebbe essere già al suolo e con fatica si tiene su a metà, per puro dovere di rappresentanza; nell'erba, che spunta dal terreno indecisa fra il grigio della strada e il verde della primavera; nella gente, che porta al collo una cravatta cittadina e ai piedi stivali di campagna.

Qui incominciano i caroselli.

Lo spiazzo nuota nella luce primaverile. Come se qualcuno avesse versato sul terreno il sole a tinozze. Dei bambini scavano in cumuli di terra smossa. Un can barbone filosofo si meraviglia che non ci siano mosche con un tempo così bello. Alcuni ferrovieri, pipa in bocca, sono pennellate di blu nel paesaggio. Odorano di carbone e nostalgia. Sul pendio erboso un gruppetto di giovani fa la siesta.

E nel mezzo, protetta da una recinzione metallica, ecco la giostra.

Un fusto poderoso si dirama alla sua estremità superiore. Sembra lo scheletro mille volte ingrandito di un ombrello. Dei seggiolini dondolano appesi a lunghe catene. E dieci ragazzi stanno lassù, su una piattaforma che sembra il sottotetto della giostra, e fanno girare in tondo le catene, sempre in tondo. Chi ha lavorato mezza giornata ha diritto a dieci giri di giostra gratuiti, uno dietro l'altro.

Il signor Rambousek, il direttore, è una figura imponente. Dalla catena d'argento del suo orologio ciondola un dente d'elefante. Indossa un abito di velluto a coste blu. Nella destra, non hai visto?, agita un frustino: ffssh ! ciac ! E alla fine di ogni giro il suo fischietto emette un grido breve e stridulo. A quel comando, i ragazzi sulla piattaforma si fermano e il moto circolare dei seggiolini cessa gradualmente. Poi il signor Rambousek, frustino nella destra – ffssh ! ciac ! -, berretto sportivo nella sinistra, passa a raccogliere i soldi. Venti heller al giro.

Laggiù strepita un organetto, polonaise al galoppo. Violenti toni bassi si lanciano sbuffando contro gagliardi suoni acuti. Baruffa cacofonica. Nel ventre della scatola deve succedere un'iradiddio. I toni minori soccombono. Naturale. Era da prevedersi. Quando il signor Rambousek dà di fischietto, tutto - modo maggiore e modo minore, sol profondo e do diesis alto - giace per terra alla rinfusa.

Il signor Rambousek ha famiglia. E con la sua famiglia vive in un carrozzone, gira in lungo e in largo ed è pronto a partire ogni momento. Non ha che da attaccare due cavalli. Poi siede a cassetta – ffssh ! ciac ! non hai visto? - e già se n'è andato!

Mi piacerebbe sapere come se la cava con il passaporto e i confini.

Dal carrozzone giungono i vagiti di un neonato. La signora Rambousek è in négligé - sono solo le quattro del pomeriggio.

Con gesto teatrale rovescia sullo spiazzo una bacinella d'acqua sporca. Il barbone si riscuote dalle sue fantasticherie. Il flusso dei pensieri adesso è zuppo. Lui trema, grondante di nervosismo e goccioloni.

A lunghe corde sono appesi ad asciugare i panni. Il vento gonfia le intimità della famiglia Rambousek. Sembra l'apparizione di un veliero.

Su tutto, la lieve aura di un romanticismo quasi dimenticato. Aria da vagabondi. Tre zigani vidi un giorno, dolce era la notte di maggio...

Dal terreno si leva un caldo vapore marzolino, aleggia un profumo di natura in fiore. Il poppante frigna ancora, l'organetto strepita.

E il signor Rambousek, sempre lassù, librandosi leggero sopra la fatica del vivere quotidiano – ffssh ! ciac ! non hai visto? - grida: «Un giro ! Un giro ! ».

 

Josephus