LA SFIDA DEL CAVALIER INCOGNITO
di Tirsi Mario CAFFARATTO
( da "La vita meravigliosa del Cavaliere Incognito" - ED. VITALITA' )
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Alcuni giorni dopo fece il suo ingresso « sollenne » in Ancona, il « Cosmopolita» famoso « operatore » anche lui. Egli arrivò «verso mezzogiorno preceduto da uno sfarzoso treno allo squillar delle trombe, ed al suon de timpani, ed andò a smontare all'albergv della posta. Egli occupò uno de migliori e più grandiosi appartamenti destinati ordinariamente a più rispettabili principi, ed eminentlssimi porporati ». Lo invitò poi ad un magnifico pranzo cercando di irretirlo per farlo lavorare per sé, ma il Cornelio rifiutò, e divisò anzi di contrapporglisi. Mentre il Cosmopolita non faceva altro che smerciare a suon di trombe e di timpani un suo specifico « balsamo cefalico, antiputrido, desostruente, mollificante, balsamico, antifebbrile, antivenereo e buono per cento altri mali, un cerotto, una pastiglia per il dolore dei denti, ed il rimedio per li calli », l'Incognito, eretto un palco sulla stessa piazza, di fronte a quello del Cosmopolita, cominciò, con uno scheletro, a ragionare di anatomia.
“Dodici torchie a quattro stoppini, e quattro candegliari di argento a due fiaccole illuminarono il palco, e io mi trovai seduto accanto ad uno scheletro movibile su cui doveva fare i miei anatomici raggionamenti. Scendeva dalla carozza quando al balenar di tante fiaccole correva il popolo affollato tratto dalla novità dello spettacolo. Capì ben egli la forza dello stratagemma, laonde risalito sulla carozza impose a suoi domestici di fare coi loro stromenti il maggior strepito possibile per coprire la mia voce affinche non si udisse dai spettattori quello che io diceva.
lo delusi l'arte con l'arte, e mostrando io più frequenti gesti d'essere infervorato in un discorso molto interessante eccitai la curiosità delli uditori a segno, che dopo aver gridato più volte a coloro di tacersi, e sempre invano fecero al loro nojoso suono, ed importuno le più sonore orribili fischiate tal che furono obbligati a tacere, e lasciarmi libero il campo.
Curioso anch'egli il cosmopolita venne ad ascoltarmi, ed a sua imitazione dopo aver ricondotto alla posta la carozza, ed i cavalli vi concorre pure tutto il suo seguito. Poiché il silenzio universale mi fece comprendere che bramava ognuno di sentire dalla mia voce quale fosse lo scopo di quell'apparato, e che la lingua e cominciai a palesare i miei sentimenti.
lo gli dissi, che ad imitazione degli antichi filosofi, che avevano studiato la natura, ed investigato i di lei più reconditi arcani avevo anch'io applicato alla scienza dell'uomo per rilevarne la struttura, per conoscerne le indisposizioni, e per applicarvi i più acconci, ed opportuni rimedi. Che sopra quello scheletro io mi sarei ingegnato di dargli ogni sera un picciolo saggio delle mie cognizioni anatomiche, e di rispondere formalmente a qualsivoglia quesito appartenente a quella scienza mi potesse venire favorito per convincere il mondo, che non già qual ciarlatano interessato, o venale ma qual vero conoscitore delli umani bisogni io mi offeriva in pubblico. Che in vece di gloriarmi, come fa il primo, del suo sapere in proporzione, che più ubertoso gli riesce lo smercio del suo segreto, io mi riserbava ad investigare l'indole delle malattie prima di ordinarvi i rimedi che questi sarebbero stati i più convenevoli a correggerle, e risanarle perchè preparati secondo gli insegnamenti d'Esculapio, d'Ippocrate, e Galeno, giacchè non aveva per anche potuto arrivare colla mia esperienza a possedere quel farmaco universale, che sana e guarisce da qualunque malanno.
Io gli annunciai per la sera susseguente, che alla stessa ora avrei principiato a parlare delle ossa, pregando li Signori professori, ed intendenti di Anatomia a favorirmi particolarmente, mentre io implorava il loro giudizio. Li supplicai ad essere imparziali testimoni de miei detti affinché dietro alle loro decisioni potesse rimanere persuaso il ceto meno colto, ed illuminato, che quanto io sarei per dire di sera in sera, tutto sarebbe conforme agli insegnamenti, ed alle dottrine de più dotti, ed eccellenti Scrittori. Conclusi, che io mi sarei reputato molto felice se colle mie scarse cognizioni mi fossi meritato la sofferenza, ed il concorso di colti, ed eruditi spettatori, e fossi arrivato a conseguire il loro benignissimo compatimento.
Sciolto che mi fui dall'impegno di ragionare in quella seconda sera della formazione delle ossa delle loro cavità, e tessuto cellulare, come pure delle ossa che formano il capo, della loro figura ed unione mi riserbai a parlare la sera susseguente della formazione dei denti della loro sostanza ossea, e lapidea della prima, e seconda dentizione, e dei sintomi, che le accompagnano, poiché non mi rimaneva tempo ad appagare in quella sera quello, che mi aveva eccitato a discorrerne.
Coll'opportunità, che nominai i denti feci parola del mio gengivario, e della mia polvere dentifricia, che erano le medesime cose, le quali per il corso di otto e più anni ho dispensato, e dispenso in questa metropoli a tutti quelli, che ho l'onore di servire. lo ne parlai a richiesta di molti, che desideravano di provvedersene, e fissai la bottiglia del gengivario a paoli sei, e paoli sei la scattola della polvere, ma non m'arrestai gran fatto su questo particolare. Mi contentai soltanto di assicurare il pubblico, che il prezzo da me fissato era immutabile, e non lo avrei scemato in verun tempo, come altri fanno dei loro secreti, e tanto lo avrei venduto a quel prezzo io mi fosse riuscito di venderne mille come a venderne una sola. Dispensai in quella sera 150 bottiglie, e 60 e più scattole, ne rechi meraviglia al lettore la proposizione credendola per avventura iperbolica, poiché lo smercio che io ne faccio in Torino, ed a Signori delle città di provincia, che se ne provedono prova abbastanza la bontà del mio secreto, ed il credito che egli ha ottenuto presso tutti coloro, che lo hanno esperimentato.”
Così sera per sera il Nostro vide il suo trionfo, vendette i suoi prodotti, e finì coll'obbligare il Cosmopolita a trasferirsi a Fano.
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