NASI TRICOLORI oppure

Nasi (bianchi) rossi (e verdi)

 

di Dario DURANTI

 

 

 

 

La storia del circo da sempre ha attribuito ai clown di origine italiana un ruolo di primo piano nel contesto europeo, costringendoli però il più delle volte ad espatriare. Del resto lo dicevano già gli antichi… “nemo profeta in patria”.

Questa considerazione apparentemente generica e superficiale trova conferma ripercorrendo la storia del clown (e contestualmente la storia del circo), che sin dagli albori ci appare fortemente influenzata da maschere e figure di chiara ispirazione italiana.

 

 

                                       

 

 

Far risalire la nascita del clown all’esperienza della Commedia dell’Arte è ben più di un’ipotesi. Le maschere di Pulcinella e Arlecchino, per esempio, riecheggiano nei personaggi delle entrate comiche che Tristan Remy ha sapientemente raccolto e ricostruito nel suo prezioso volume “Entrées clownesque”.

Che cos’è il rapporto tra clown bianco ed augusto se non una riproduzione, neanche troppo evoluta e modificata, del contrasto tra Arlecchino e il suo padrone? L’augusto goffo e pasticcione, ma che sovente prende la sua rivincita sul bianco in effetti sembra parente non troppo lontano dell’Arlecchino che con le sue astuzie si conquista le simpatie del pubblico per avere la meglio sull’antipatico padrone. Certo tra augusto e bianco non c’è rapporto di padronanza, ma in taluni casi (come per esempio nell’entrata “Carica e scarica”), il bianco incarna il ruolo del direttore e l’augusto quello dell’artista che cerca scrittura.

 

 

                   

 

 

Il legame tra il clown di oggi e la Commedia dell’Arte è messo in forte risalto da colui che gli storici, con una certa unanimità, riconoscono come primo clown europeo: Joseph Grimaldi. Nel libro “Clown & Farceurs” del 1982 Grimaldi viene definito “se non uno dei padri, uno dei padrini della clownerie” e in effetti potremmo considerarlo il punto zero dell’evoluzione di questa leggendaria figura comica. Grimaldi nacque a Londra, ma il padre Giuseppe (come si deduce anche dal nome e cognome) era di evidente provenienza italiana. Non basta il nome a garantire un’influenza, ma il fatto che abbia portato sui palcoscenici britannici (prima ancora che sulle piste) elementi della commedia dell’arte e della pantomima ci fa dire che un pizzico di italianità quel progenitore del clown di oggi doveva averla.

 

 

GLI ARTISTI

 

La storia del circo da questo momento prosegue velocemente in una rapida e tumultuosa evoluzione. Le influenze si mischiano, i generi si contaminano. L’arte equestre prende il sopravvento, ma dagli anfiteatri si giunge in breve al circo, anche grazie ad un italiano, Antonio Franconi, che prende in mano l’eredità del sergente Astley, portando alla maturazione l’idea di circo come spettacolo equestre, in cui vengono presentate anche pantomime comico-acrobatiche e numeri di animali addestrati in un edificio circolare.

 

 

     

 

 

Siamo nella seconda metà del 1800 quando nelle grandi città, soprattutto in Francia, patria d’elezione del circo, iniziano a comparire i lussuosi edifici stabili in muratura, vera casa e culla dei grandi artisti del secolo scorso: il Cirque Medrano e Cinque d’Hiver vedono la consacrazione delle grandi vedette comiche come Grock, Antonet & Beby e i Fratellini.

I Fratellini sono un altro esempio significativo di artisti di nettissima origine italiana, ma che fecero la loro fortuna in un paese che li ha accolti, apprezzati e resi celebri. Fratellini ancora oggi è sinonimo di clown e di circo in Francia, ma siamo certi che ben pochi in Italia (tolta una manciata di addetti ai lavori) saprebbero azzardare l’attività principale di questa famiglia.

 

 

         

 

 

Tra gli anni Venti e gli anni Quaranta fu la volta di due artisti livornesi, Dario e Manrico Meschi (in arte “Dario e Bario”) la cui popolarità in Francia sfiorò spesso quella dei Fratellini. Dario debuttò proprio a Livorno, sua città natale, e per qualche tempo si esibì in Italia e all’estero con vari partner. Prova persino ad aprire un piccolo circo, ma gli affari non andarono come sperato. E’ in Francia, in compagnia del fratello che avviene la definitiva consacrazione della coppia Dario e Bario a cui si aggiunsero talvolta altri partner con i quali dettero vita a formazioni diverse.

 

 

                   

 

 

La decadenza del Circo Italiano verificatasi all’inizio del Novecento, indusse molti artisti a cercare fortuna all’estero. Fra questi Giacomo Cireni, nato a Milano nel 1884. “Giacomino” iniziò le sue esperienze circensi a pochi anni in alcuni complessi italiani, come il Circo Travaglia, Vitali, Frediani, etc. Successivamente passò al Circo Mediano che gli propose un ruolo da tony nero, ossia quell’acrobata che finge goffaggine e incapacità, riuscendo invece a compiere prodezze mirabolanti riscuotendo l’ilarità del pubblico. Nonostante il trattamento più che soddisfacente ricevuto al Medrano, Giacomino seguì la via di molti circensi italiani (come Truzzi e Ciniselli) che migravano in Russia. Pietroburgo, città molto fertile per gli artisti, lo accolse a braccia aperte e da allora iniziò la fortunata carriera del “Clown alla corte dello Zar”, come venne definito. Tornato in Europa dopo la Rivoluzione d’Ottobre si esibì per qualche anno in alcuni circhi, ma la sua ultima assunzione fu in veste di maggiordomo al Circolo della Stampa di Milano.

 

 

 

 

Restiamo attorno agli anni Venti, quando l’Europa e gli Stati Uniti applaudono il più grande giocoliere di tutti i tempi: Enrico Rastelli. Contemporaneamente il nipote, Oreste, muove i suoi primi passi con un numero acrobatico al trampolino elastico insieme alla moglie e a vari partner. Un numero molto buono che trova buone scritture, ma verso i trent’anni Oreste inizia a sentire l’esigenza di creare qualcosa di diverso con il quale continuare a lavorare nel momento in cui il fisico non fosse più adatto a numeri acrobatici. Debutta così a Varsavia, nel 1932, l’entrata musicale dei Rastelli, presentata allora sotto il nome artistico di “Chocolate & Co” in quanto la formazione comprendeva un personaggio di colore di origine brasiliana. Da lì in poi una pioggia di contratti davvero strabiliante che portò i Rastelli nei più importanti teatri, varieté, circhi e riviste sul ghiaccio. Per quasi settant’anni la famiglia Rastelli ha girato il mondo con una delle più collaudate e imitate entrate comico musicali di tutti i tempi, alternando all’interno della propria formazione tre generazioni di clown. Oreste, passò il testimone al figlio Alfredo che si fece affiancare a sua volta dai figli Oreste Junior e Vittorio. In quasi settant’anni di onorata carriera, i passaggi dei Rastelli in Italia furono davvero pochi, e limitati a brevi contratti invernali o al passaggio nel nostro paese della rivista sul ghiaccio Holiday on Ice.

 

 

   

 

 

Non molto diversa la storia dei Caroli, italianissimi al punto che membri di questa gloriosa dinastia lavorano ancora in vari complessi italiani. Tuttavia le famiglie dei fratelli Enrico, Ernesto e Francesco Caroli, passati alla storia come i migliori cavallerizzi del mondo e successivamente dediti con grande successo all’arte della clownerie con una delle più richieste formazioni clownesche, trovò fortuna in Germania e in altre nazioni europee, regalando al pubblico del proprio Paese di origine pochissime sporadiche e brevi apparizioni.

 

 

                       

 

 

A questo punto non ci si stupirà neanche che un personaggio del calibro di Achille Zavatta, una vera icona per il pubblico francese, non solo per le sue apparizioni televisive e cinematografiche, quanto per il suo personaggio di clown non si sia praticamente mai esibito in Italia, paese da cui arriva il suo sangue e il suo cognome, ma che purtroppo ignora non solo il suo talento, ma anche la rilevanza di un nome come Zavatta per la storia del circo moderno.

 

 

   

 

 

Qualcosa di simile è avvenuto per due dei fuoriclasse della comicità attuale, i due più richiesti clown del mondo occidentale. Larible e Fumagalli. Entrambi sono prodotti tricolori al cento per cento. Entrambe le loro famiglie di appartenenza hanno militato nel circo da generazioni e tutt’ora lo esercitano. Entrambi figli d’arte. Entrambi dalla personalità talmente forte e carismatica da impadronirsi della pista sin dal loro ingresso. Ed entrambi tanto osannati dal pubblico europeo (e nel caso di Larible persino americano), quanto poco considerati dal sistema culturale e mediatico italiano. Le loro esperienze non sono così lontane tra loro.

 

David Larible muove i primi nel circo  della famiglia materna, i Casartelli, sviluppando la sua grande passione per la clownerie. Si è esibito a fianco del padre e dello zio sin dalla tenera età, senza smettere mai. Ha lavorato al circo dei suoi parenti, i Casartelli-De Rocchi, il Circo Medrano, per più di sette anni, poi in Svizzera al Circo Nock (dove con il padre clown bianco presentava anche l’entrata comica) nel 1978, al Bouglione nell’inverno 1979/80, al Krone dal 1980 al 1986, al Cesare Togni per due inverni (1981 e 1984); e ancora al Circo Krone Bau, (lo stabile di Monaco di Baviera), al Blackpool Tower e al Teatro Carrè in Olanda. Nel 1988 è la volta del suo primo grande exploit al Festival di Monte Carlo dove ottiene un successo strepitoso, a sorpresa, con un repertorio che attinge anche al linguaggio del teatro di strada, molto efficace grazie alla sua fisicità, a una eccezionale mimica facciale e alla forza del suo personaggio. Il suo segno di riconoscimento è la coppola a quadrettini. Il costume è molto semplice e non rinnega nulla della tradizione del clown; il trucco è leggero, ma non rinuncia al classico naso rosso che in molti di questi tempi sembrano disprezzare considerandolo limitativo delle possibilità espressive di un “vero clown”. A Monte Carlo mette in risalto il suo talento, fino a quel momento non sufficientemente valorizzato dalle direzioni europee.

A notarlo è il produttore del Circo Ringling Bros Barnum and Bailey Circus degli Stati Uniti, che gli propose un contratto che negli anni a venire sarà rinnovato per oltre 12 anni consecutivi a riprova della sua efficacia.

 

 

               

 

 

Fumagalli nasce mentre il padre si trovava al Circo Orfei con il ruolo di clown di serata. Riceve da altri artisti lezioni di equilibrismo sul filo, cadute e bascula. Per diversi anni si esibisce nei varieté, nei night e in alcuni circhi in coppia con il fratello Darix Huesca con un numero di bascula a due e al tavolino comico in cui esprime pienamente il suo carattere esuberante. In alcuni circhi gli chiedono di svolgere il ruolo di comico, ma siamo ben lontani dalla rotondità del suo personaggio attuale.

Durante una tournée in Austria venne notato da Bernhard Paul, direttore del Circo Roncalli, in quel periodo alla ricerca di un clown. Il volto espressivo di Fumagalli e il suo carattere irriverente lo convinse a puntare su di lui e nel giro di qualche anno lo fece diventare una vedette dal successo garantito. Il suo segreto stava nell’italianità del suo personaggio a cui sovente, pur esibendosi in Germania, faceva pronunciare parole ed espressioni in italiano. Negli anni Novanta il pubblico tedesco accorre numeroso al Circo Roncalli per assistere alle facezie esilaranti di questo clown senza trucco, ma dalla mimica efficacissima. Il successo è tale che Fumagalli lascia Roncalli e tenta di aprire in Germania un circo dallo stile italianissimo incentrato sul suo nome e sulla sua sagoma. Chiusa questa breve parentesi, fioccano i contratti in tutta Europa, un clown d’Argento a Monte Carlo e un brevissimo contratto in Italia al Circo Medrano dove nonostante una campagna pubblicitaria incentrata su di lui il pubblico non sembra aver colto la portata del personaggio. Ancora una volta il pubblico italiano, e il sistema culturale nel suo complesso, non sembra sensibile alla nascita di personaggi di grande spessore all’interno dell’arte circense.

 

 

LE ENTRATE COMICHE

 

Fin ora abbiamo analizzato i casi di artisti di origine o nazionalità italiana che (per scelta o per necessità) hanno portato fuori dai confini patri il proprio bagaglio culturale e gli elementi della propria comicità. Sarà interessante analizzare in questa sede alcuni tratti della clownerie italiana, cercando di tracciarne una breve evoluzione.

 

Un genere che andava molto di moda nei piccoli complessi familiari intorno agli anni Quaranta era quello delle farse, ossia piccole commedie grottesche a cui prendeva parte anche il clown del circo. I ruoli erano abbastanza fissi e i canovacci prevedevano vicende familiari (come tradimenti, vendette tra parenti, scambi di persone ed equivoci) dal risvolto comico. Questo semplice genere teatrale occupava in genere la seconda parte dello spettacolo ed erano particolarmente in voga, soprattutto nel sudItalia.

 

 

   

 

 

L’augusto di serata (sia che prenda parte alle farse, sia che si esibisca nelle classiche riprese comiche) riprende le caratteristiche del contadino degli anni dell’indigenza e della povertà capace di sfidare un rivale per un bicchiere di vino o una salsiccia, per un piatto da mangiare o per una bella ragazza, gioca con i piatti, dice barzellette pruriginose e cerca principalmente di guadagnare senza lavorare, o di lavorare il meno possibile. E’ uno stereotipo che nonostante l’evoluzione della società, si mantiene inalterato nel tempo ed impermeabile all’evoluzione del gusto e della cultura del pubblico. Ancora oggi nei circhi di piccole e medie dimensioni si ripropongono le stesse battute e le stesse gag che divertivano (una volta di sicuro, oggi un po’ meno…) il pubblico di una o due generazioni fa.

 

 

             

 

 

Diverso il discorso dell’entrata musicale, anch’essa legata ad un clichè piuttosto stabile e ormai sclerotizzato, ma che sopravvive dai primi decenni del Novecento. L’entrata comico-musicale di stampo italiano infatti, ha la caratteristica di non portare in pista una vicenda; non c’è una storia o una trama, come potrebbe esserci nelle classiche entrate come “lo specchio rotto”, “il castello incantato”, “carica e scarica”, “ape, dammi il miele!” o “il dolce nel cappello”, bensì si basa su grandi strumenti e attrezzi di scena decisamente sproporzionati, oggetti manomessi e truccati, botti ed esplosioni; una serie di piccole gag spettacolari in cui la musica era il mezzo per “disturbare” il proseguimento dello spettacolo, attingendo ampiamente al repertorio dei Rastelli che a loro volta si rifacevano, in parte, ai Fratellini.

 

C’è spesso un clown bianco, anche se il suo ruolo è meno centrale. La parola non sempre è necessaria e questo ha agevolato la scrittura di molte formazioni di clown musicali all’estero. I circhi della Scandinavia, per esempio, hanno sempre attinto (e tuttora continuano a farlo) al bacino delle entrate musicali italiane, quali le varie formazioni dei Folco, dei Di Lello, dei Rossi, dei Rossyann, dei Caveagna e degli Ernestos, solo per fare qualche esempio rilevante.

 

In alcuni casi i componenti erano ottimi artisti e validi musicisti, in possesso di un repertorio da solisti fatto di gag e riprese comiche con le quali sapevano conquistare il pubblico, prima di proporre l’entrata comica. In altri casi erano artisti con limitate abilità recitative, ma che in un meccanismo perfetto e dotato di sincronismo come quello di un’entrata all’italiana, riuscivano comunque a ottenere un buon effetto comico.

 

 

   

 

 

Questo genere di entrata ha funzionato particolarmente nei grandi circhi del periodo

tra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta quando anche in Italia si sono diffusi complessi

di grandi dimensioni (come il Circo Heros, il Circo Americano, il Circo di Liana, Nando

e Rinaldo Orfei, il Circo Jumbo,….) in cui un augusto di serata avrebbe avuto grande difficoltà a farsi vedere.

Paradossalmente possiamo affermare che l’entrata di stampo italiano prevede in realtà un clown dal carattere molto “all’americana” con abbondante uso di truccature molto vistose, parrucche colorate, abiti sgargianti e strumenti musicali di forme e dimensioni fuori dal comune.

 

 

                    

 

 

Un ritorno a un genere più intimista è arrivato, anche in Italia, intorno agli anni Ottanta, grazie alla fortunata esperienza tedesca del Circo Roncalli che ha praticato l’importanza delle dimensioni più raccolte degli chapiteau, il recupero di un rapporto più intimo col pubblico e la centralità di un linguaggio comico più poetico e sussurrato, rispetto alle precedenti esibizioni “esplosive” che anche Federico Fellini sembra criticare nel suo documentario del 1970 “I Clown”. Ecco dunque la diffusione, sulla  scia di David Larible, dei cosiddetti mimi-clown che attingendo in parte al repertorio del teatro di strada, sembrano accantonare i costumi troppo colorati e le truccature esagerate per dar vita a un tipo di clown più soft e delicato. Purtroppo molti si sono limitati a copiare Larible, senza coglierne il messaggio più profondo, ma è un dato che ormai le entrate musicali in Italia, ma anche in Europa, si sono drasticamente ridotte.

Famiglie come Rastelli, Folco, Di Lello e Bisbini hanno cessato di prodursi in questo genere clownesco che comunque ha sempre rappresentato uno dei caratteri forti del circo.

 

 

 

 

Tra le ragioni di questo trend, sicuramente il mutato gusto del pubblico, ma anche la presunzione di molti circensi di ritenere di secondo piano il ruolo della comicità, al punto da poter ovviare alla mancanza di clown scritturati, facendo indossare un naso rosso o un paio di scarpe enormi a qualche ragazzo della compagnia o a qualcuno della direzione stessa. In certi casi si sono scoperti dei talenti in famiglia, ma più sovente capita di assistere a spettacoli di buon livello, ma rovinati da comici scadenti e improvvisati.

 

Aver ritenuto sostituibile facilmente il ruolo del clown ha immediatamente reso poco competitivi i cachet dei gruppi molto numerosi composti da 4-5 persone. Inoltre sovente si trattava di nuclei familiari molto ampi e quindi costosi da mantenere, mentre ormai, purtroppo, la logica di molte direzioni (soprattutto in Italia) prevede di scritturare nuclei familiari numerosi, solo a condizione che essi siano in grado di prodursi in 3-4 numeri, così da ridurre le spese per il cast. Ecco dunque che il più delle volte avveniva il contrario: una troupe che già presentava due o tre numeri allestiva in qualche modo una entrata comica, così da risultare più appetibile. Con il conseguente abbassamento del livello artistico. Questi alcuni dei fattori che hanno inciso sulla crisi del clown. Chi ha resistito ha dovuto espatriare e come abbiamo fin qui visto, questo è successo spesso e capita ancora oggi. Avevano proprio ragione gli antichi: “nemo profeta in patria”.