STORIA DEL CIRCO ITALIANO
di Alessandro CERVELLATI
( EDIZIONI AVANTI ! MILANO )
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In un piccolo volumetto, “Les pauvres saltimbanques”, pubblicato a Parigi nel 1853, l'autore, Théodore de Banville, finge, a mo' d'apologo, un suo immaginario incontro, su una pubblica piazza, con un gruppo di saltimbanchi e di suonatori che esibiscono a un pubblico di passaggio i virtuosismi delle loro acrobazie e le loro musiche.
Nessuno - dice Banville - si scomodò a gettare nel piattello l'obolo, che era pur loro dovuto, poiché essi avevano dimostrato una grande maestria nei numeri svolti in modo che provava la loro lunga e severa preparazione. E tra il pubblico vi erano attrici della Comédie Française, membri dell'Accademia di Francia e romanzieri alla moda attratti anche dalla bellezza della saltatrice « arditamente costruita come la Diana antica ».
Diceva Célimène della Comédie: «Occorre essere stati nutriti di studi gravi e seri: che vi può dunque essere di comune fra me e questi miserabili? ». E l'accademico insisteva: «L'Istituto per compiere la sua missione civilizzatrice deve restare il tempio del gusto e della morale; non mi presto ad alterare i principi sui quali si basa l'edificio così laboriosamente costruito dai nostri padri ». Anche il romanziere alla moda sciorinò buone ragioni per giustificare il suo egoismo e la sua incomprensione.
Nessuno diede nulla. Solo una commediante dei boulevards, che non si era nutrita di «studi gravi e seri », un artista che non era membro dell'Istituto, e un giovane commediante riconobbero in quei misconosciuti dei disgraziati colleghi e degli artisti, e versarono il loro obolo.
Ci pare che questa storia fittizia di Théodore de Banville, il quale, tra l'altro, apprezzava e intendeva l'arte circense, possa assurgere a simbolo del trattamento che la quasi totalità degli studiosi e dei critici nostrani di storia dello spettacolo ha riserbato, a tutt' oggi, alle attività del Circo.
Infatti, in Italia, raramente si è considerata degna di attenzione la vicenda circense, quasi che non se ne sapesse intendere la bellezza e la spinta morale; quasi risultasse materia trascurabile quella somma di virtuosità che sottintende molteplici valori, tra i quali i più evidenti rispondono a un mirabile controllo della macchina umana portata a raggiungere, attraverso un lungo e penoso tirocinio, gli estremi limiti delle possibilità fisiche con i più sorprendenti risultati: l'estrosità mimica inserita nel gioco acrobatico e nella buffoneria comica; l'arte di ammansire e di addestrare animali e belve, conservando o rinnovando le accortezze che gli addestratori e i domatori usarono fino dai tempi lontanissimi. E come tutto questo non fosse sufficiente, si aggiunga quel sereno, costante coraggio che è regola di vita di tutti gli artisti del Circo e che è immagine della loro probità.
La storia, quindi, di un mondo cosi suggestivo e multiforme, merita di essere giustamente valorizzata. Per questo motivo, il nostro saggio intende far conoscere il travaglio attraverso il quale ebbe vita e si formò il Circo italiano, dalle sue origini ad oggi, nelle sue alterne fortune e nelle manifestazioni dei suoi protagonisti, e inoltre inquadrarlo dignitosamente nel consesso di tutte le altre attività dello spettacolo. La documentazione da noi raccolta, attraverso lunghe e non facili ricerche - diciamo non facili perché in passato si disdegnò di collezionare dati e notizie riguardanti le vicende circensi - cerca di offrire al lettore un quadro sufficientemente veritiero della storia del Circo italiano: questo almeno è stato il nostro scopo. Se questo fine è stato raggiunto, saremo lieti di aver adempiuto a un dovere, colmata una lacuna e riparato ad un oblio che nessun motivo poteva e può giustificare.
ALESSANDRO CERVELLATI |
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