UN BAMBINO VENDUTO
di Hector MALOT
( da " Senza famiglia " – ed. Lucchi )
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- Voi desiderate non è vero - disse, - che questo bambino non mangi un giorno di più il vostro pane; oppure, che, se dovesse continuare a mangiarlo, qualcuno ve lo pagasse? - Proprio; perché ... - Oh! il motivo, sapete, non mi riguarda, e non sento nessun bisogno di conoscerlo; mi basta sapere che voi non volete più il bambino. Se è così, datelo a me, me ne incarico io. - Darvelo? - Caspita! non volete sbarazzarvene? - Darvi un bambino come questo, un così bel ragazzo... perchè è un bel ragazzo, guardatelo. - L'ho guardato. - Remigio! Vieni qui. Mi avvicinai alla tavola, tremando. - Su via, non aver paura, piccolo - disse il vecchio. - Guardatelo - continuò Barberin. - Non dico che sia un brutto bambino. Se fosse un brutto bambino, non lo vorrei. I mostri non fanno per me. - Può lavorare. - È molto debole. - Lui debole! Andiamo! È forte come un uomo e solido e sano; guardate le gambe, ne avete mai viste di più diritte? Barberin rialzò i miei calzoncini. - Troppo magro - sentenziò il vecchio. - E le sue braccia? - insistè Barberin. - Le braccia sono come le gambe; possono andare; ma certamente non resisterebbero alla fatica e alla miseria. - Lui non resistere? Ma palpate, guardate, tastate voi stesso. Il vecchio passò la sua mano sulle mie gambe, palpandole; poi scosse la testa e fece una smorfia. - È un bambino come ve ne sono tanti - disse il vecchio - ecco la verità, ma è un bambino di città; perciò è certo che non sarà mai buono a nulla per il lavoro della terra; provate a metterlo davanti all'aratro e guidare i buoi e vedrete quanto resisterà. - Dieci anni. - Non un mese. - Ma guardatelo, dunque. - Guardatelo voi! Ero in fondo alla tavola tra Barberin e il vecchio, spinto da uno, respinto dall'altro.
- Infine -,disse il vecchio - cosi com'è, lo prendo. Soltanto, beninteso, non ve lo compero, ve lo prendo a nolo. Vi darò venti franchi all'anno. - Venti franchi! - È un buon prezzo e pago anticipato; voi prendete quattro bei pezzi da cento soldi ed eccovi sbarazzato del bambino. - Ma, se lo tengo, l'Ospizio mi pagherà più di dieci franchi al mese. - Mettetene sette, mettetene otto, conosco i prezzi, e ancora bisognerà che voi lo nutriate. - Lavorerà. - Se voi foste sicuro del suo lavoro, non vorreste sbarazzarvene. Non è per il danaro della pensione, che si prendono i bambini dell'Ospizio, ma per il loro lavoro; se ne fanno dei servitori, che rendono e non sono pagati. E inoltre, se questo qui fosse in stato di rendervi dei servizi, voi lo terreste. - In tutti i casi, avrei sempre i dieci franchi. - E se l'Ospizio invece di lasciarvelo, lo dà ad un altro, voi non avrete più niente; invece, con me nessun rischio da correre: tutta la vostra fatica consiste nell'allungare la mano. Si frugò in tasca e ne tirò fuori una borsa di cuoio dalla quale prese quattro pezzi d'argento, che posò sulla tavola, facendoli risuonare. - Ma pensate, - esclamò Barberin - che questo bambino avrà dei genitori, un giorno o l'altro! - E con ciò? - Vi sarà un profitto per quelli che l'avranno allevato. Se non avessi fatto conto su di questo, non me ne sarei mai incaricato. - Appunto perchè non contate più sui suoi parenti - obbiettò il vecchio - voi lo cacciate. Infine, a chi si rivolgeranno questi parenti, se un giorno dovessero farsi vivi? A voi, non è vero, e non a me, che essi non conoscono. - E se siete voi, che li ritrovate? - Allora stabiliamo che, se un giorno vi fossero dei genitori divideremo il profitto, e per di più metto trenta franchi. - Mettetene quaranta. - No; per i servizi che potrà rendermi, non è possibile. - E quali servizi volete che vi renda? Buone gambe, le ha; buone braccia, le ha; rispondo di quello che ho detto; ma infine a che cosa pensate di farlo servire? Il vecchio guardò Barberin con aria sorniona e vuotando il bicchiere a piccoli sorsi: - A tenermi compagnia - rispose. - Divento vecchio e la sera qualche volta, dopo una giornata di fatica, quando il tempo è cattivo, ho idee tristi: il bambino mi distrarrà. - È sicuro che per questo le gambe saranno abbastanza solide. - Non troppo, perchè bisognerà ballare, e poi saltare e poi camminare, e poi, dopo aver camminato, saltare ancora; insomma, prenderà posto nella compagnia del signor Vitalis. - E dov'è la vostra compagnia? - Il signor Vitalis sono io, come potete aver capito, la compagnia ve la mostrerò, giacchè desiderate far la sua conoscenza.
Così dicendo, si sbottonò la pelle di montone e prese nella mano uno strano animale, che teneva nascosto sotto il braccio sinistro, contro il suo petto. Era proprio quella bestiola che parecchie volte aveva fatto sollevare la pelle, ma non era un cagnolino, come io avevo creduto. Che cosa poteva essere quella bestia? Ma era proprio una bestia? Non trovavo nomi da dare a quella bizzarra creatura, che vedevo per la prima volta che guardavo stupefatto. Era vestita con una blusa rossa bordata d'oro; ma le braccia e le gambe erano nude, perchè erano proprio braccia e gambe che quella bestia aveva e non zampe; soltanto queste braccia e queste gambe erano coperte da una pelle nera e non bianca o rosata. Nera era anche la testa, grossa presso a poco come il mio pugno chiuso; il viso era largo e corto, il naso rialzato con le narici aperte, le labbra gialle; ma quello che più di tutto mi colpi, furono due occhi molto vicino l'uno dall'altro, di una fissità intensa, brillanti come specchi. - Oh, che brutta scimmia - esclamò Barberin. Queste parole mi scossero dalla mia contemplazione, perchè, se non avevo mai visto scimmie, ne avevo almeno sentito parlare; non era dunque un bambino nero che avevo davanti a me, ma una scimmia. - Ecco il primo personaggio della mia compagnia - disse Vitalis; - è il signor Bel Cuore. Bel Cuore, amico mio, salutate il rispettabile pubblico. Bel Cuore portò la mano chiusa alle labbra e mandò a tutti un bacio. - Adesso - continuò Vitalis, stendendo la mano verso il barbone bianco - passiamo ad un altro; il signor Capi avrà l'onore di presentare i suoi amici allo stimabile pubblico qui presente. A questo comando il barbone, che sino allora non aveva fatto il più piccolo movimento, si alzò prontamente e, rizzandosi sulle zampe di dietro, incrociò quelle anteriori sul petto e salutò il suo padrone così profondamente, che il suo berretto da gendarme toccò il suolo. Compiuto il suo dovere di cortesia, si volse verso i suoi compagni e con una zampa, mentre teneva l'altra sempre sul petto, fece loro segno di avvicinarsi. I due cani, che avevano gli occhi fissi sul loro compagno, si rizzarono subito e, porgendosi l'un l'altro una zampa davanti, come ci si dà la mano tra uomini, fecero gravemente sei passi avanti, poi tre passi indietro e salutarono il pubblico. - Quello che chiamo Capi - riprese Vitalis - abbreviazione di Capitano, è il capo dei cani; è lui che, come il più intelligente, trasmette i miei ordini. Questo giovane elegante dal pelo nero è il signor Zerbino, che vuol dire galante, nome che merita tutti i riguardi. Quanto a questa giovanetta dall'aria modesta è la signora Dolcetta, una graziosa inglese, che non ha certamente rubato il suo nome. È con questi celebri personaggi dai meriti diversi, che ho il vantaggio di percorrere il mondo, guadagnandomi la vita più o meno, secondo i casi della buona o della cattiva fortuna. Capi! Il barbone incrociò le zampe. - Capi, venite qui, amico, e siate gentile, vi prego. - Si volse a noi. - Sono persone bene educate ai quali parlo sempre cortesemente. - Quindi ai suoi cani: - Siate così gentili di dire a questo ragazzo, che vi guarda con gli occhi rotondi come palle da biliardo, che ora è. Capi disincrociò le zampe, si avvicinò al suo padrone, scostò la pelle di montone, frugò nella tasca del panciotto, ne trasse fuori uno grosso orologio d'argento, guardò il quadrante e latrò due volte distintamente; poi, dopo questi due latrati ben accentuati, forti e distinti, ne emise tre altri più deboli. Erano effettivamente le due e tre quarti. - Va bene - disse Vitalis, - vi ringrazio, signor Capi; e, adesso, vi prego di invitare la signora Dolcetta a farci il piacere di saltare un poco alla corda. Capi frugò allora nella tasca del vestito del padrone e ne ritirò una corda. Fece un segno a Zerbino, e questi andò prontamente a mettersi di fronte a lui. Allora Capi gli gettò un capo della corda, e tutti e due si misero gravemente a farla girare. Quando il movimento fu regolare, Dolcetta si slanciò e saltò leggermente, tenendo fissi i begli occhi teneri negli occhi del padrone.
- Come vedete - disse questi, - i miei allievi sono intelligenti, ma l'intelligenza non si apprezza in tutto il suo valore se non coi confronti. Ecco perchè io assumo questo ragazzo nella mia compagnia: farà la parte di bestia e lo spirito dei miei allievi sarà così maggiormente apprezzato. - Oh! per fare la bestia... - interruppe Barberin. - Bisogna avere dello spirito - continuò Vitalis, - ed io credo che questo ragazzo non ne mancherà, quando avrà preso qualche lezione. Del resto, vedremo. E per cominciare ne avremo subito una prova. Se è intelligente, capirà che con il signor Vitalis si ha la fortuna di percorrere la Francia e dieci altri paesi, di condurre una vita libera, invece di stare dietro ai buoi e camminare tutti i giorni nello stesso campo, dalla mattina alla sera; mentre se non è intelligente, piangerà, griderà, e, siccome il signor Vitalis non ama i bambini cattivi, non lo condurrà con sè. Allora, il bambino cattivo andrà all'Ospizio dove bisogna lavorar sodo e mangiar poco. Ero abbastanza intelligente per capire queste parole; ma dalla comprensione all'esecuzione, vi era una terribile distanza. Certamente gli allievi del signor Vitalis erano ben strani, molto divertenti, e doveva essere interessante andar sempre in giro; ma per seguirli e camminare con loro, bisognava lasciare mamma Barberin. È vero che, se rifiutavo, molto probabilmente non restavo con mamma Barberin, mi avrebbero mandato all'Ospizio. E siccome apparivo turbato, e avevo lacrime agli occhi, Vitalis mi battè dolcemente con la punta delle dita sulla guancia. - Andiamo - mi disse, - il bambino capisce, dal momento che non urla; la ragione entrerà in questa testolina, e domani ... - Oh! signore - esclamai - lasciatemi con la mia mamma Barberin, ve ne supplico! Ma prima di aver potuto continuare, fui interrotto da un formidabile abbaiamento di Capi. Nello stesso tempo il cane si lanciò sulla tavola, sulla quale Bel Cuore era rimasto seduto. Costui, profittando di un momento in cui tutti si occupavano di me, aveva preso pian pianino il bicchiere del suo padrone, che era pieno di vino, e stava per vuotarlo. Ma Capi, che faceva buona guardia, accortosi di quella birichinata della scimmia, da fedele servitore qual'era, era intervenuto a tempo. - Signor Bel Cuore - disse Vitalis con voce severa, - voi siete un goloso e un briccone; andate a mettervi laggiù, in quel cantone, col naso contro il muro, e voi, Zerbino, fategli la guardia; se si muove, dategli uno scapaccione. Quanto a voi, signor Capi, siete un buon cane; datemi la zampa, che ve la stringa. Mentre la scimmia obbediva, lanciando piccole grida soffocate, il cane, felice e fiero, tendeva la zampa al padrone. - Adesso - continuò Vitalis - ritorniamo ai nostri affari. Vi do trenta franchi. [ ….. ]
Non vedevo il momento d'indossare quei begli abiti; ma prima di darmeli, Vitalis fece loro subire una trasformazione, che mi gettò in un doloroso stupore. Ritornati all'osteria, prese le forbici dal suo sacco e tagliò i pantaloni fino all'altezza del ginocchio. Siccome lo guardavo con occhi atterriti, mi disse: - Faccio questo, soltanto perchè tu non sia come tutti gli altri. Siamo in Francia ed io ti vesto come un italiano; se andremo in Italia, cosa possibile, ti vestirò come un francese. Siccome questa spiegazione non riusciva a togliermi dal mio stupore, continuò: - Che cosa siamo noi? Artisti, non è vero? Commedianti, che con il loro solo aspetto devono provocare la curiosità. Credi tu, forse, che, se noi andassimo sulla pubblica piazza vestiti come borghesi o come contadini, riusciremmo ad attirare gli sguardi della gente? No, non è vero? Impara dunque che nella vita alle volte è indispensabile l'apparenza: è una cosa seccante, ma non ne abbiamo colpa noi. Siccome i calzoni finivano al ginocchio, Vitalis pensò di fermarmi le calze con cordoni rossi incrociati intorno alle gambe; poi ornò il mio feltro di altri nastri e di un mazzolino di fiori di lana. Non so che cosa potessero pensare gli altri di me; ma per essere sincero devo dire che io mi trovavo superbo, e così doveva essere, perchè il mio amico Capi, dopo avermi lungamente osservato, mi stese la zampa con aria soddisfatta. L'approvazione di Capi alla mia trasformazione mi fu tanto più gradita perchè, mentre indossavo gli abiti nuovi, Bel Cuore si era piantato davanti a me e imitava, esagerandoli, tutti i miei movimenti. Finita la mia toletta, Bel Cuore si mise le mani sui fianchi e, rovesciata indietro la testina, cominciò a ridere con piccoli gridi canzonatori. - Adesso che la tua toletta è finita - disse Vitalis, quando mi misi il cappello in testa - cominceremo a metterci al lavoro, per poter dare domani, giorno di mercato, una grande rappresentazione nella quale tu esordirai.
Domandai che cos'era esordire, e Vitalis mi spiegò che significava apparire per la prima volta davanti al pubblico, recitando la commedia. - Daremo domani la nostra prima rappresentazione - disse - e tu vi parteciperai. Bisogna dunque che ti faccia imparare la parte, che ti ho destinata. I miei occhi stupiti gli dissero che non capivo. - Si chiama parte quello che dovrai fare in questa rappresentazione. Se ti ho condotto con me, non è proprio per procurarti il piacere di camminare. Non sono abbastanza ricco per questo. Devi lavorare. E il tuo lavoro consisterà nel rappresentare la commedia con i miei cani e Bel Cuore. - Ma io non so recitare la commedia! - esclamai spaventato. - Appunto per questo te la devo insegnare. Capirai che non è una cosa naturale se Capi cammina così graziosamente sulle zampe di dietro, come non è per suo divertimento che Dolcetta ha imparato a saltare la corda; hanno dovuto anzi lavorare molto e a lungo per acquistare quelle abilità e le altre che li rendono abili commedianti. Ebbene, anche tu devi lavorare, per imparare le diverse parti che reciterai con loro. Mettiamoci, dunque, al lavoro. A quell'epoca avevo idee completamente primitive sul lavoro. Credevo che per lavorare bisognasse vangare la terra o spaccare un albero o tagliare la pietra e non sapevo immaginare altro. - La commedia che rappresenteremo - continuò Vitalis ha per titolo Il domestico del Signor Bel Cuore o Il più sciocco dei due non è quello che si crede. Ecco il soggetto: il signor Bel Cuore ha avuto finora un domestico del quale è molto contento ed è Capi. Ma Capi diventa vecchio e il signor Bel Cuore vuole un nuovo domestico. Capi s'incarica di procurargliene uno. Ma non sarà un cane che gli succederà, sarà un ragazzetto, un contadinello chiamato Remigio. - Come mel - No, non come te, ma tu stesso. Tu arrivi dal tuo villaggio, per entrare al servizio di Bel Cuore. - Le scimmie non hanno domestici. - Nelle commedie ne hanno. Tu arrivi, dunque, e il signor Bel Cuore trova che hai l'aria di un imbecille. - Non è divertente, questo! - Che te ne importa, se è per ischerzo? D'altronde, immagina di arrivare veramente da un signore per fare il domestico e che ti si dica, per esempio, di preparare la tavola. Eccone proprio una che deve servire alla nostra rappresentazione. Fatti avanti e disponi il coperto. Su quella tavola vi erano dei piatti, un bicchiere, un coltello, una forchetta e tovaglia e tovagliolo. Come bisognava disporre tutto questo? Mentre mi facevo queste domande e restavo con le braccia penzoloni, sporto in avanti, la bocca aperta, non sapendo di dove cominciare, il mio padrone battè le mani, ridendo sonoramente. - Bravo - esclamò - bravo! Va molto bene. L'espressione del tuo volto è eccellente. Il ragazzo che avevo prima di te assumeva un'aria maliziosa, che voleva dire chiaramente: vedrete come so far bene lo stupido; tu non dici niente, tu! Tu vivi! La tua ingenuità è ammirevole. - Non so quello che devo fare. - Ed è appunto per questo che sei eccellente. Domani, tra qualche giorno, saprai a meraviglia quel che dovrai fare. Sarà allora che ti dovrai ricordare l'imbarazzo che provi ora, e fingere quello che non sentirai più. Se tu potrai ritrovare questa espressione del volto e questa posa, ti predico il più grande successo. Che cosa è il tuo personaggio, nella mia commedia? Un giovane contadino, che non ha mai visto niente e che non conosce niente; arriva da una scimmia ed è più ignorante e più maldestro della stessa scimmia; di qui il mio titolo: Il più sciocco dei due non è quello che si crede. Il domestico del signor Bel Cuore non era una grande commedia e la sua rappresentazione non durava più di venti minuti. Ma la nostra prova durò quasi tre ore: Vitalis ci faceva rifare due, quattro, dieci volte la medesima cosa, e tanto a me che ai cani. Questi, infatti, avevano dimenticato certe battute della loro parte e bisognava insegnargliele di nuovo. Fui allora molto sorpreso nel vedere la pazienza e la dolcezza del mio padrone. Non si trattavano così le bestie al mio paese, e le bestemmie e le bastonate erano gli unici procedimenti di educazione, che s'impiegavano con esse. Vitalis, per tutto il tempo che durò quella lunga prova non andò in collera una sola volta; non bestemmiò una sola volta. - Andiamo, ricominciamo - diceva severamente quando quello che pretendeva da noi non era riuscito. - Va male, Capi... Ma fate attenzione, Bel Cuore, sarete sgridato! Ed era tutto; però, era abbastanza. - Ebbene - mi disse, quando la ripetizione fu finita, credi che ti abituerai a recitare? - Non so. - Ti annoi? - No, anzi mi diverto. - Allora tutto andrà bene; tu sei intelligente e, cosa più preziosa ancora, poni attenzione a quel che fai: con l’attenzione e la docilità si arriva a tutto. [ ….. ]
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Il mio turbamento si fece anche più grande, quando l'indomani, lasciammo l'osteria, per recarci sulla piazza dove doveva aver luogo la nostra rappresentazione. Vitalis apriva la marcia, la testa alta, il petto sporgente, e segnava il passo con le braccia e con i piedi, suonando un valzer in un piffero di metallo. Dietro veniva Capi, sulla schiena del quale stava con sussiego il signor Bel Cuore, in costume di generale inglese, abito e pantaloni rossi gallonati d'oro, un cappello a soffietto sormontato da una larga piuma. Poi, a rispettosa distanza, avanzavano su una stessa linea Zerbino e Dolcetta. lo formavo la coda del corteo che, grazie alle disposizioni prese dal nostro padrone nel disporci, prendeva abbastanza posto nella strada. Qualche bambino si era messo a seguirci; alcuni contadini stupiti si erano aggiunti ad essi e, quando arrivammo in piazza, avevamo dietro e intorno a noi un vero corteo. La nostra sala di spettacolo fu ben presto preparata: consisteva in una corda attaccata a quattro alberi, in modo da formare un grande quadrato. La prima parte della rappresentazione consistè in diversi giuochi eseguiti dai cani; ma quali fossero questi giuochi, non saprei dirlo, occupato com'ero a ripetermi la parte e turbato dall'inquietudine. Tutto quello che ricordo, è che Vitalis aveva lasciato il piffero e lo aveva sostituito con un violino, col quale accompagnava gli esercizi dei cani, ora con un'aria di danza, ora con una musica dolce e tenera. La folla si era rapidamente ammassata contro la nostra corda; e, quando macchinalmente mi guardai intorno, vidi un'infinità di occhi fissi su di noi. Terminata la prima parte dello spettacolo, Capi prese una scodella fra i denti e, camminando sulle zampe di dietro, cominciò a fare il giro «dell'onorevole pubblico». Quando i soldi non cadevano nella scodella, si fermava e, posando questa nell'interno del cerchio, fuori portata dalle mani degli spettatori, metteva le zampe davanti sullo spettatore ricalcitrante, emetteva due o tre latrati e picchiava piccoli colpi sulla tasca che voleva far aprire. Allora nel pubblico si sollevavano grida, frasi allegre e motteggi. - È furbo, il barbone, capisce chi ha il gruzzolo ben fornito. - Andiamo, mano alla tasca! - Darà! - Non darà niente! - L'eredità di tuo zio te lo restituirà. Finalmente i soldi venivano strappati dalle profondità dove si nascondevano. Durante quel tempo, Vitalis, senza dire una parola, ma con gli occhi fissi sulla scodella, suonava arie allegre sul violino, che alzava e abbassava secondo il caso. Presto Capi ritornò vicino al suo padrone, portando fieramente la scodella piena.
Toccava a Bel Cuore ed a me di entrare in scena. - Signore e signori - disse Vitalis, gesticolando da una mano con l'archetto e dall'altra col violino - continuiamo ora lo spettacolo con una graziosa commedia intitolata: Il domestico del Signor Bel Cuore o il più sciocco dei due non è quello che si crede. Un uomo come me non si abbassa a far prima l'elogio delle sue commedie e dei suoi attori; non vi dico, quindi, che una cosa: spalancate gli occhi aprite le orecchie, e preparate le mani per applaudire. Quello ch'egli chiamava «una graziosa commedia» era in realtà una pantomima, cioè una commedia recitata con gesti e non con parole. E doveva essere così, per la semplice ragione che due dei principali attori, Bel Cuore e Capi, non sapevano parlare, e il terzo (che ero io) sarebbe stato perfettamente incapace di dire due parole. Però, per rendere il giuoco dei commedianti più facilmente comprensibile, Vitalis lo accompagnava con qualche parola, che preparava le situazioni della commedia e le spiegava. Fu così che, suonando in sordina un'aria guerriera, annunziò l'ingresso del signor Bel Cuore, generale inglese, che aveva guadagnato i suoi gradi e la sua fortuna nella guerra delle Indie. Fino a quel giorno, il signor Bel Cuore non aveva avuto per domestico che il solo Capi, ma d'ora innanzi voleva farsi servire da un uomo, permettendogli i suoi mezzi questo lusso: le bestie erano state troppo tempo schiave degli uomini, era ora che le cose mutassero. Aspettando l'arrivo di questo domestico, il generale Bel Cuore passeggiava in lungo e in largo e fumava il sigaro. Bisognava vedere come lanciava il fumo al naso del pubblico! S'impazientiva, il generale, e cominciava a fare gli occhi minacciosi come uno che sta per andare in collera; si mordeva le labbra e batteva in terra il piede. Al terzo colpo, dovevo entrare in scena io, condotto da Capi. Se avessi dimenticata la mia parte, il cane me l'avrebbe ricordata. Al momento dato, mi tese la zampa e m'introdusse presso il generale. Questi, scorgendomi, alzò le braccia con aria desolata. Come! era questo il domestico che gli si presentava? Poi venne a guardarmi sotto il naso e a girarmi intorno, alzando le spalle. La sua smorfia fu cosi ridicola, che tutti scoppiarono dalle risa: avevano capito che egli mi prendeva per un perfetto imbecille, e questo era anche il giudizio degli spettatori. La commedia era, beninteso, costruita per mostrare tale imbecillità in tutte le maniere; io ad ogni scena dovevo commettere qualche sciocchezza nuova, mentre Bel Cuore, al contrario, doveva trovare l'occasione di dimostrare la sua intelligenza e la sua capacità. Il generale, dopo avermi esaminato lungamente, preso da compassione, mi fece servire la colazione. - Il generale crede che, quando questo ragazzo avrà mangiato, sarà meno stupido - diceva Vitalis. - Adesso vedremo. lo mi sedetti davanti alla piccola tavola sopra la quale si trovava il coperto, e un tovagliolo posato sotto al mio piatto. Che cosa ne dovevo fare di quel tovagliolo? Capi mi faceva segno che dovevo servirmene. Ma come? Dopo avere ben cercato, feci il gesto di soffiarmici il naso. Il generale allora scoppiò a ridere e Capi cadde con le quattro zampe rivolte in aria, colpito dalla mia stupidità. Intuendo che mi sbagliavo, guardai di nuovo il tovagliolo, chiedendomi a che cosa potesse servire. Finalmente mi venne un'idea; annodai il tovagliolo e me ne feci una cravatta. Nuove risa del generale, nuova caduta di Capi. E così di seguito, fino al momento in cui il generale esasperato mi gettò giù dalla seggiola, sedette al mio posto e mangiò la colazione che mi era destinata. Oh, il generale sapeva servirsene del tovagliolo! Con quale grazia lo passò nell'asola della sua uniforme e se lo distese sulle ginocchia! Con quale eleganza spezzò il pane e vuotò il bicchiere! Ma le sue maniere produssero un effetto irresistibile, quando, terminata la colazione, chiese uno stuzzicadenti e se lo mise rapidamente fra i denti. Allora, gli applausi scoppiarono da tutte le parti, e la rappresentazione terminò in un trionfo. Come era intelligente la scimmia! Quanto era stupido il domesticol Ritornando all'osteria, Vitalis mi fece questo complimento, e io ero oramai un così bravo commediante, da sentirmi inorgoglito per quell'elogio. [ ….. ]
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