I SOGNI, I PUPI E GLI ANALFABETI

 

di Pier Paolo ZAMPIERI

 

( da www.operadeipupifamigliagargano.net )

 

 

 

 

Ci fu un tempo lontano in cui le voci tuonanti dei paladini col clamore delle loro spade risuonavano in tutte le piazze del meridione scatenando i sentimenti di un intero popolo. L’Italia era lontana e la parola progresso era solo un neonato pieno di speranze e parole pericolose.

 

A scuola ci hanno insegnato che il giullare era l’unico a poter dire, senza conseguenze, “il Re è nudo” ma è a corte che lo diceva, solo a corte, fuori, nelle piazze meridionali, era l’autorità del Puparo che poteva saziare la voglia di giustizia e di intrattenimento di un intero popolo siciliano spesso escluso da quella che oggi potremmo chiamare “cosa pubblica”.

Siamo in un tempo in cui l’analfabetismo era la regola e mentre il teatro di prosa, spesso consolatorio, si rivolgeva alle classi colte, “L’Opra dei pupi” era rivolta esclusivamente al popolo al punto che nemmeno le donne potevano andare a vedere tali rappresentazioni.

 

 

                   

 

 

La storia in realtà è molto lunga (e nebulosa), ogni cultura si è dotata di marionette o burattini, ma il cerchio si stringe se parliamo di marionette in armatura che trattano argomenti prevalentemente cavallereschi.

Troviamo tracce di tali proto-pupi nel ‘400 e nel ‘500, è addirittura Cervantes, nel suo celebre Don Qujiote, che ci racconta come “l’hidalgo dalla triste figura” assista nel Teatro di Don Pedro ad uno spettacolo di marionette in armatura tratto dal romance carolingio di Don Gaifero. Mi permetto in questa sede di suggerire che Cervantes è passato da Messina…

 

 

                                       

 

 

A questi dati bisogna aggiungere l’enorme importanza dei cuntostorie e cantastorie che con parole, chitarre, immagini e una spada (nel caso dei cuntastorie) hanno alimentato quella catena orale che per generazioni ha narrato storie di cavalieri, principesse e regni in pericolo.

 

 

                 

 

 

E’ probabilmente all’inizio dell’800 che tutti questi componenti vengono assemblati dal neo-nato puparo che grazie alla formula teatro cristallizza questo lungo processo consegnandoci l’Opra che ancora oggi vediamo. Artigiano, attore, impresario, autore, pittore, sarto, fabbro e molto altro.

Il Puparo dirige una piccola azienda familiare ed attingendo ad un enorme materiale mitico, mette in scena delle vere soap che con la stessa struttura degli antichi racconti omerici si srotolano per cicli annuali, facendo scattare incredibili meccanismi di immedesimazione in una popolazione incantata da quelle storie con forse i primi effetti speciali della storia. Angeli che scendono dal cielo, duelli all’ultimo sangue tra valorosi cavalieri, draghi sputafuoco, giganti, animali mitici e certo principesse bionde per le quali morire. In tre parole magia, sfarzo, e giustizia.

Non doveva sembrare vero alla gente poter assistere a tutto questo per pochi spiccioli. Dopo una dura giornata di fatica la sera poteva partire il sogno, e cosa fondamentale, un sogno collettivo, un sogno identitario.

 

 

              

 

 

Al di là dell’aspetto meramente storico-folcloristico nei Pupi ci sono però delle ingegnose caratteristiche che nel variegato mondo delle marionette li rendono un caso unico al mondo. In breve il mondo dell’animazione si divide in burattini e marionette. I primi sono mossi dal basso (si pensi a Pulcinella) i secondi dall’alto. Ma tutte le marionette del mondo sono mosse da fili e quindi in ultima analisi non possono combattere. I Pupi, sono le uniche marionette che, provviste di due ferri (uno attaccato alla testa, e uno al braccio), possono dare battaglia e uccidere. In due parole invece della commedia (e della poesia) possono mettere in scena la tragedia. E’ questa la loro cifra culturale.

 

La seconda metà dell’800 e la prima del ‘900 sono la Golden Age dei Pupi, più di 20 teatri sorgono a Palermo e in quasi tutte le piazze della Sicilia si odono le parole dei vari Rinaldo, Orlando, Gano di Magonza, Carlo Magno, Angelica, ecc. Il ciclo Carolingio e quello Arturiano sono i più usati, ma dovunque ci sia del materiale mitico i Pupari lo raccontano e lo interpretano. Sucessivamente anche il banditismo, oscura pagina del meridione viene assorbito e messo in scena tra l’imbarazzato silenzio dei libri di testo ufficiali.

 

 

                             

 

 

La prima crisi, però, si verifica intorno agli anni ‘30 del ‘900, con l’avvento del cinema, o per dirla diversamente con l’avvento di un sogno molto potente, il sogno americano. E’ una crisi dura ma superata. Il peggio però deve ancora venire ed è intorno agli anni ‘60, con il boom economico (spesso al sud solo sognato), con la televisione, con i modelli culturali proiettati al futuro che avviene una vera e propria strage di Pupari. Lo spettacolo (e il sogno) arriva direttamente nelle case e il popolo Siciliano comincia a guardare con sospetto alle proprie tradizioni che spesso richiamano un passato fatto di povertà. Volendo banalizzare e giocare con le parole è Mike Buongiorno dallo schermo che raddoppia la gente dentro le case e lascia le piazze sempre più vuote.

 

 

                   

 

 

Il grosso problema è che un’arte fatta da artisti orali e fruita da grosse fette di analfabeti non lascia dietro di sé molte tracce. La catena di sapere orale e quella “corporativa” del tramandare al figlio il mestiere del padre viene spezzata.

 

E’ solo intorno alla fine degli anni ‘70 che etno-antropologi seri invece di inseguire culture esotiche interrogano il loro recente passato e cercano di ricostruire (e sognare) quel mondo quasi perduto. E’ il concetto di popolo però il vero anello mancante, sostituito da quel concetto più esigente e addomesticato chiamato audience e non deve sembrare un paradosso che una grossa spinta per la rinascita dei Pupi è costituito dalla domanda “turistica” di gente straniera che quando approda in Sicilia è quella Sicilia che vuole vedere, il suo passato e non certo il suo presente.

Sia detto di passaggio i “Pupi” sono presenti nella grande letteratura siciliana (nei romanzi di Pirandello, in quelli di D’Arrigo, in quelli di Bufalino, addirittura nella saga del Padrino (il II)), al punto che nell’immaginario collettivo passa l’equazione Pupi uguale Sicilia, equazione testimoniata dall’enorme presenza di pupi-gadget (pupi salme?) in tutte le località a forte attrazione turistica.

 

 

              

 

 

Ma veniamo al presente.

Una dozzina di Pupari sono rimasti nel mondo. Famiglie ancora meno. L’U.N.E.S.C.O intuendo il rischio di estinzione di questa antica arte, ha recentemente (nel 2001) inserito “l’Opra dei Pupi” tra i “Patrimoni immateriali dell’Umanità”.

Messina custodisce fortunatamente una di queste famiglie, uno di questi tesori che con le sue 5 generazioni consecutive, la rende probabilmente la più antica famiglia “operante” esistente.

 

 

         

 

 

Però c’è un però. Nel 1964 causa incendio dell’Arena Gargano la città perde il suo ultimo Teatro “stabile” dei Pupi. Da allora nonostante la Famiglia Gargano non abbia mai smesso di operare (con un ingegnoso teatro mobile) e anzi riesca a portare la propria arte su tutto il territorio nazionale non si è mai riuscito a costruire un nuovo teatro stabile rendendo così Messina (sicuramente agli occhi degli stranieri che da un certo punto di vista sempre analfabeti sono) una città meno siciliana delle altre.

E’ questa una ferita aperta per la città di Messina.

Uno spazio espositivo e teatrale è necessario per far sì che i Pupi siano sì un patrimonio dell’umanità ma che lo siano anche per i messinesi.