LE INCREDIBILI AVVENTURE DI “ ITALIA ˝ NELLE STORIE E CARTELLONI DELLO STRAORDINARIO CANTASTORIE FRANCO TRINCALE
|
PERCHÈ UNA MOSTRA ANTOLOGICA SU TRINCALE ?
di Fortunato ZINNI Assessore al Lavoro - Comune di Bresso
( da Franco Trincale - Mostra inCantata)
Tutto è cominciato con l'articolo apparso sul Corriere della Sera venerdì 14 Dicembre 2004. Il Sindaco di Bresso, Giuseppe Manni, si rivolge con una lettera al prefetto di Milano, al Presidente della Provincia, al Sindaco di Milano, agli altri Sindaci della Provincia, e agli Assessori Carruba e Benelli: "... La storia umana e civile di Franco Trincale racchiude quella di tanti immigrati che negli ultimi 50 anni hanno eletto Milano e il suo hinterland a nuova patria di adozione, pur mantenendo ben salde le proprie radici e le proprie tradizioni. Franco Trincale ha raccontato per le vie di Milano, davanti alla fabbriche, nei circoli dei paesi della cintura metropolitana, le storie di cronaca, con ballate cartelloni e dischi. Con la sua chitarra ha cantato le storie degli immigrati, gli scioperi nelle fabbriche, i morti di Piazza Fontana, Pinelli, le guerre, le sofferenze, la rabbia e le speranze di riscatto della povera gente, fino alla cronaca di tutti i giorni. Ora chiede alle Istituzioni che questo patrimonio di cultura popolare non vada disperso. ... Per quanto ci riguarda come Bresso, non appena sarà disponibile, mettiamo a disposizione uno spazio della emergente struttura Polifunzionale nell'area ex Iso Rivolta ..." Dal dialogo tra l'Assessore Benelli, il Sindaco di Bresso e lo stesso Trincale, nasce l'idea della "Mostra InCantata" promossa dalla Provincia di Milano con la partecipazione del Comune di Bresso ed organizzata dall'Arci Milano. La Mostra interpreta tante cose insieme: una operazione culturale con una sua dignità e rilevanza, in mezzo a tante fatue celebrazioni di niente, un doveroso riconoscimento ad un personaggio scomodo, rompiscatole solitario nella melassa conformistica raimediasettina televisiva. Un personaggio mai tenero, confidenziale e mediatore, spesso polemico ma anche con visibili venature autoironiche nel cantare alcuni eventi bizzarri: i parti sessantenni, la pillola, l'ossessione delle lotterie, insomma i costumi dei nostri tempi. Un omaggio dovuto ad un cantastorie "che Milano deve considerare un proprio figlio - ha scritto il compianto Guido Vergani - perché, nel bene e nel male, l'ha raccontata, partecipando anche sanguignamente, anche con una violenta visceralità civica, al suo vivere, perché soprattutto qui nelle piazze, nelle strade di Milano, spesso tirando la propria esistenza con i denti, ha salvato e rinnovato la grande tradizione dei cantastorie, la poesia del fare informazione, del fare cronaca, del fare editoriale ed opinione, cantando e accompagnandosi con la chitarra e il gesto verso i riquadri dei cartelloni. Ogni riquadro una situazione, ogni personaggio un fatto nel dipanarsi della storia." Lo scenario che ospita la mostra è quello di una gloriosa fabbrica; anche questa è una scelta simbolica perché testimonia il tentativo di raccontare la vicenda singolare di un artista di strada e le vicende umane, sociali e politiche di mezzo secolo di vita del paese attraverso l'esperienza delle lotte operaie, del lavoro, delle speranze e delle delusioni di migliaia di famiglie della grande area metropolitana milanese. La Mostra è a suo modo anche un concreto tentativo di riparazione di fronte all'indifferenza delle istituzioni ai danni di un'arte povera ma cha ha saputo conquistarsi nel corso degli anni una sua dignità. In alcuni casi le istituzioni hanno riservato a questi artisti e a Trincale in particolare, una esplicita antipatia ed avversione, mentre si sforzavano di rappresentare le condizioni di vita delle periferie, la transizione delle masse dai campi alle officine, il degrado urbano, le piccole e grandi storie che in questo mezzo secolo hanno segnato l'immaginario collettivo e le coscienze della gente, attraverso la raffigurazione iconografica dei quadri, i testi e le musiche delle ballate. Il soggetto dominante è sempre l'uomo con le sue gioie, i suoi dolori, le sue sofferenze e le sue speranze. La Mostra non ha pretese velleitarie, ma si colloca a pieno titolo per le sue indiscutibili con notazioni simboliche nel filone del grande movimento politico e civile di denuncia delle ingiustizie sociali e di rivendicazione dei diritti dei lavoratori. Trincale, con disarmante semplicità, passa dalla grande partecipazione al dramma sociale del meridione alla struggente nostalgia dell'emigrante, dall'impegno di lotta e di riscatto dell'operaio, alla speranza di un futuro migliore dei diseredati delle periferie, dei migranti del Terzo Mondo, con una viva e costante tensione intellettuale e politica che lo mette al riparo da ogni rischio di populismo, interpretando i sentimenti più veri e profondi dell'anima popolare. "La storia - afferma Trincale - non è fatta solo da dischi e libri, ma dalle voci delle folle in piazza per la Pace, la Giustizia e la Democrazia... La Storia la fanno anche i cantastorie, che sanno ascoltare, rispettare, raccontare, cantare queste voci."
Nelle sue ballate traspare nitidamente la tensione di un rinnovamento morale e civile della società italiana. Lo testimoniano i tanti riconoscimenti che nel corso degli anni gli sono stati tributati: l'affettuosa lettera di Enrico Berlinguer, le lezioni tenute presso le università, la ricca e copiosa rassegna stampa nazionale e internazionale, il riconoscimento del suo paese natale della Provincia Regionale di Catania e della Regione Sicilia, la pubblicazione delle sue ballate edite da Feltrinelli e da Pellicano, le ammirate recensioni di Vergani, Serra, Consolo, e l'appello sottoscritto da alcuni prestigiosi nomi della cultura italiana a difesa del suo diritto di continuare ad esibirsi in Piazza del Duomo. Questo catalogo andrà in tante case, è auspicabile che qualche volta faccia scattare la voglia di andare ad ascoltare, nelle piazze, nei teatri, nei grandi spazi delle manifestazioni di massa, i protagonisti di questa antica e nobile arte. Ci piacerebbe inoltre che la Mostra accanto ai tanti messaggi che riserva ai suoi visitatori ne conservasse uno anche per tutti gli enti locali ed i suoi organizzatori. Un maggior impegno per il futuro a favore di questa genia di artisti umili e semplici, ma interpreti fedeli del nostro tempo.
LA SPARIZIONE DEL CANTASTORIE
di Francesco MERLO
( da Franco Trincale - Mostra inCantata)
Neppure Karl Marx, che pure si era spinto a prevedere "scientificamente" ogni genere di sparizione, della borghesia, della morale, della religione, e poi dello Stato, degli eserciti e persino del danaro, neppure Karl Marx aveva previsto la sparizione del cantastorie. Ne ricordo uno, che si esibiva anche a Castiglione di Sicilia, il piccolo paese arroccato dove è nato mio padre. Era già un vecchio sopravvissuto quando io ero bambino, aveva una finta gamba di legno, suonava la fisarmonica, o la chitarra o l'organetto. Il suo repertorio non era solo quello allora classico, con la leggenda di Colapesce o il combattimento di Orlando e Rinaldo per la bella Angelica: vedete quanto può un pelo di femmina. Raccontava anche del campanile della chiesa che svettava altero, ma che in realtà contemplava con invidia le case basse che lo circondavano, e che sognava di perdersi anche lui nelle stradine, di abbassarsi nel gomito a gomito, di arrotondarsi nel calore umano. E ancora ricordo un frammento poetico che allora ci faceva ridere, ma che oggi mi sembra un capolavoro dell'erotismo popolare che il vecchio riservava non a un pubblico adulto ma, al contrario, a un pubblico bambino, e che riporto qui di seguito senza traduzione: Vorrei essere rinali, si putissi / e ca lu putiaru mi vinnissi / passassi la me bedda e m'accattassi / e sutta lu so letto mi pusassi. / A menzannotti poi s'arrisbigghiassi / e menzu alli su cosci mi mittissi. / Nun mi nn'importa no / si mi pisciassi / basta ca la cappeda ci vidissi. Ebbene, di quei cantastorie della mia infanzia, Franco Trincale è sicuramente l'erede più qualificato e più tenace, e non solo perchè è il solo rimasto. Franco Trincale è il combattente di una Resistenza epocale, l'ultimo eroe di un mondo antico ormai sparito, insieme alle passeggiate, alle gassose con la pallina, alle nonne con il rosario in mano, al Circolo dei nobili, al latte condensato, alle carrozze a cavalli, alle tipografie con il piombo, alle giarrettiere e ai treni a vapore. Eppure Trincale resiste, resiste, resiste. E non c'è nulla che possa zittirlo, neppure le proteste di chi vuoi dormire; di chi, a torto o a ragione, per bisogno di riposo o per pretesto, vorrebbe fargli abbassare il volume degli altoparlanti. Persino il sindaco di Milano Gabriele Albertini se ne accorse a sue spese. Una volta infatti che gli aveva negato il permesso di cantare in piazza del Duomo, il malcapitato sindaco fu subito assediato e rintronato dalla protesta degli amici di Trincale, della politica, dei giornali, degli intellettuali, dei tanti cittadini che gli vogliono bene, delle associazioni, persino dei preti. E cosi Albertini fu costretto a fare marcia indietro. Si era reso conto che, zittendo Trincale, il rumore aumentava. E che, dunque, la sola maniera di zittirlo era quella di farlo cantare. E infatti Trincale ha continuato a cantare, a sfidare i malanni, la politica e i dormiglioni, a rischiare come sempre in piazza del Duomo, a invecchiare sulla strada.
Ben vengano, dunque, con le mostre celebrative come questa, tutti quei provvedimenti, anche economici, che trattino Franco come il nobile esemplare di una specie da proteggere, un 'bene nazionale' al quale assicurare una vecchiaia vitale e serena, l'eccellenza della vera bohéme italiana. Attenzione però. Non sono l'impegno politico, la lotta dei lavoratori o la bandiera rossa o la letteratura a fare di Trincale un'eccellenza. Quello è il repertorio scontato e stereotipato, un po' come una volta era l'Opera dei pupi: Orlando a un certo punto era stanchissimo, / mentre Rinaldo ancora se la cavava / per la ragione che essendo più magro, / faceva meno sforzo e non sudava. Si sa che l'Italia è nata come una repubblica di ferocia, ma temperata dalla canzone. E si sa che tutti i cantanti sono "impegnati", con una retorica ormai tanto irritante quanto vuota. Il cantastorie che ricordo io non cantava per la rivoluzione, né contro gli Stati Uniti né contro i Berlusconi di turno, come fanno i nostri cantanti miliardari. Più modestamente e più creativamente, adeguava il proprio repertorio al pubblico indaffarato, ne fermava per un momento l'agitazione insensata, magari con i trucchi dell'imbonitore di Martoglio: Attenzione! Il gioco di 'prestigiazione' / che poco fa avanti a lei ci ho fatto / non è per scopo di speculazione / a uso di arricogliere col piatto.... Ma poi, spesso, secondo chi gli capitava davanti, improvvisava brevi versi satirici che, per me, derivavano direttamente dai caractères del XVIII secolo, come l'avaro, il vanitoso, la sciantosa, la celebrità paesana, il supermaschio. Ricordo malamente una filastrocca che, tradotta dal dialetto, più o meno cominciava così: Con la testa sempre in festa, era lungo, era magro, grandi piedi e grande naso, tale naso e tale caso .... I cantastorie come Franco, da non confondersi con i moderni 'artisti di strada' inventati dal turismo pittoresco, non sono i cantanti impegnati, ma sono gli artisti girovaghi che improvvisano e raccontano di belle donne e di prostitute, di duri malinconici, di zitelle solitarie e di comari sboccate, di vecchi assassinati dai parenti avidi di eredità, di tradimenti, gelosie, clown di circo, soldati, pittori e bambini orfani. Animali di strada, annusano e perlustrano i fatti di cronaca, e suonano per la "piccola gente" che si accalca nella piazze. Solo per i passanti, così vicini e tuttavia così distanti, i cantastorie srotolano i loro cartoni e danno vita con il canto alle figure delle loro illustrazioni coloratissime. E sempre affrontano gli argomenti più disparati, con concetti semplici e luminosi, carichi di pietas ma anche di spietatezza immediata e passeggera, invenzioni estemporanee con una funzione terapeutica, senza sofisticatezze, senza presunzioni di letteratura, canzoni che passano come i passanti alle quali sono destinate, lavori artigianali che non lasciano nulla perché null'altro sono se non la piccola gioia di chi ascolta, un'illogica e inaspettata allegria. Certo, sempre sono contro i governi e contro la corruzione, contro l'inflazione e contro le tasse, contro la polizia e contro i preti. Ma cantano anche la primavera, la pesca, la vita dei ciechi, le truffe del commercio e l'inquinamento dei fiumi... E a volte stonano e a volte sono più bravi degli artisti della Scala, ma sempre i cantastorie come Trincale si esibiscono per guadagnarsi la giornata e per divertire. E sono felici quando suscitano emozioni, sorrisi ed entusiasmi, pillole d'opinione, sguardi veloci di simpatia. I cantastorie come Trincale commuovono non per la loro grandezza poetica ma per la loro fragilità, per la debolezza dello sguardo penetrante ma leggero, per quella speciale gravità senza peso che è seduzione rapida, una vecchiaia con l'anima di un bambino, un dolce e breve sapore di strada che nessun teatro, nessuna Sanremo, nessun palco, nessuna scenografia, nessun arrangiamento speciale, nessuna tecnica di registrazione possono produrre o riprodurre.
Trincale è la strada: è nebbia, pioggia, freddo, umidità, sole, città, bar, ristoranti, alberi, fiori, prati, fiumi, mari, cieli, nuvole, e, sopratutto, mercati. Trincale è la semplicità primitiva degli stati d'animo intensi, ma sempre pronti a traslocare. Trincale è l'etica del lavoro di strada. Dunque, celebratelo pure. Ma, per favore, lasciatelo fuori dal pollaio.
Lauro Farioli - Reggio Emilia 1960 Carlo Giuliani - Genova 2001
|
CARLO ASSASSINATO
di Franco TRINCALE
Carlo
Giuliani 23 anni
|
|