L’UOMO DEI BURATTINI
di Mario LODI
( da “I bambini della cascina” – Marsilio Editore - Gli specchi )
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Eravamo a cena quando sentii picchiare al vetro della finestra. Era Natalino. Mi fece cenno di andare con lui e io capii subito che era arrivato l'uomo dei burattini. Presi una fetta di polenta calda e uscii.
«Bravi, datemi una mano» ci disse il burattinaio mentre stava sciogliendo le corde che tenevano unite al telaio della bicicletta le aste della baracca e le scene arrotolate. Tolse dal portapacchi la cassetta dei burattini, una tela nera e una rossa. Posò le aste, unite da una cerniera, sotto la lampada della stalla, in modo da dar luce alla scena, le unì con incastri di ferro e in pochi minuti il teatrino era pronto. Lo coprì, davanti, con la tela nera, poi applicò il sipario rosso, che si apriva tirando il filo che scorreva su una piccola carrucola. Provò ad aprire e chiudere due o tre volte. Infine dispose i burattini su un' asse all'interno della baracca. «Ora dormono» disse, «ma stasera li sveglio io e allora ne vedrete delle belle!»
lo ne toccai uno col dito: aveva la testa di legno dipinta, con sopra una cuffia bianca che finiva con un fiocco rosso. «Questo è Fagiolino» spiegò, «furbo, svelto, col suo bastone picchia-cattivi.» E gli posò vicino il bastone. «E questo qui?» gli domandò Natalino indicando un testone grosso due volte quello di Fagiolino. «Questo» disse l'uomo dei burattini facendo il vocione grosso, «è Sandrone, un contadino che ha sempre fame e combina guai. E questa è sua moglie Polonia» aggiunse. Poi levò e dispose sull' asse gli altri personaggi: il fattore, il contadino, l'avvocato e la mucca. Natalino frugò nella cassetta per trovarne altri. «Ho portato solo quelli che recitano stasera. Gli altri li ho a casa. Ne ho una stanza piena. Sono i miei amici, i miei bambini.» lo ascoltavo incantato le sue parole, lui mi guardò e disse: «Tu sei di qui? Non ti ho mai visto.» «Sono arrivato stamattina» risposi. «Come ti chiami?» «Bepi.» «Hai già visto i burattini recitare e ballare?» «No.» «Bene. Allora questa sera dedichiamo a te lo spettacolo!» lo non risposi e lo guardai mentre finiva di disporre i burattini ognuno al loro posto. «Che storia fai questa sera?» gli domandò Natalino, e lui srotolò un grande foglio di carta sul quale erano scritte a mano, col pennello, parole grandi. «Ecco, leggi qua!» «Ma io non so leggere» disse Natalino. «Allora leggi tu» disse a me. lo, con la mano aperta gli risposi: «Ho cinque anni.» «Ho capito» disse l'uomo dei burattini, «siete due analfabetici.» E ci lesse il manifesto: «Questa sera sarà rappresentata La vacca venduta a tre.» Ci mettemmo a ridere.
Era ormai già buio e corremmo in casa a prendere i seggiolini, che collocammo in prima fila, proprio sotto la baracca. Quasi subito arrivarono altri bambini, che erano tutti amici di Natalino. Ce n'erano di piccoli come noi e di più grandi. Uno, che chiamavano Baldo, portò una lunga panca e vi si sedettero in cinque. Poi arrivarono i grandi: uomini, donne e vecchi. Si salutavano, parlavano, sistemarono le sedie in file ordinate. Vennero anche mio padre e mia madre, e scambiarono parola con i contadini della cascina. Infine arrivò anche il signor Calisto e sua moglie, i genitori di Natalino. Tutta la gente della cascina Lazzaretto era davanti al teatrino, a vedere lo spettacolo: più di cento persone.
il campanello del burattinaio suonò e si fece silenzio. E dalla fessura del sipario uscì all'improvviso, con un salto e una piroetta, il Fagiolino che poco prima dormiva sull'asse e pareva morto. Svelto come un gatto, saltellando davanti al sipario, roteando il suo magico bastone e sventolando il fiocco rosso sulla punta della berretta bianca, annunciò la commedia: «Signori e signore, bambini e cani e gatti della cascina Lazzaretto, abbiamo l'onore di presentare» disse, «La mucca venduta a tre che dedichiamo al piccolo analfabetico Bepi che per la prima volta assiste a uno spettacolo di burattini...» lo arrossii, mi voltai e vidi mia mamma che sorrideva. Poi riuscii a captare altre parole: diceva che il popolo dei burattini era sparso in tutto il mondo, che nessuna guerra li aveva distrutti e che erano sempre vivi per far divertire la gente anche quando le cose vanno male. Quelle parole, che allora non avevano per me senso, le capii più tardi da mio padre e dagli uomini della cascina, quando mi parlarono del loro lavoro e della loro vita.
Con un colpo di bastone sul palco e facendo roteare la cuffia bianca sotto la lampada della stalla, Fagiolino sparì a testa in giù, come se sprofondasse nella terra. Risata generale e poi di nuovo silenzio. Il sipario si aprì pian piano e apparve la prima scena, dove c'era la mucca e Fagiolino. Dice Fagiolino: «Ma guarda che l'è un bel caso, questa mucca: mangia e mangia ma di latte non se ne vede. lo sono stufo, e al primo che capita gliela vendo, boia di un mondo ladro!» A questo punto si sente bussare. Fagiolino pensa: «Vuoi vedere che c'è già qualche cliente?» «Permesso?» «Avanti!» Entra il fattore: «Sono venuto per quella mucca che lei vuole vendere e vorrei sapere quanto volete.» «Quaranta marenghi.» «Senta, io qui ne ho soltanto venti. Tenga questi come anticipo. Quando torno a prendere la mucca le porto gli altri» dice. Gli consegna i soldi e se ne va. Dopo un po', altro cliente che bussa ed entra: è un contadino. «lo avrei intenzione di comprare la sua mucca, ma prima vorrei vederla e sapere quanto costa» dice il contadino. «Ecco, questa è la vacchina. Guarda che bella! E poi costa solo quaranta marenghi» gli dice Fagiolino. Il contadino la guarda, la tocca e poi dice: «È proprio bella e mi va bene. Senta, Fagiolino, ora gliene do venti come anticipo, poi vado a fare un giro al mercato e quando torno le do il resto e me la porto via.» Fagiolino prende i soldi. Poi bussa Sandrone: «lo sono venuto al mercato della Montagnola per vedere se posso comprare qualche mucca.» «Ma guarda che bella combinazione» gli dice Fagiolino, «e io ho questa bella vacchina che gliela vendo per soli quaranta marenghi!» , «Sono troppi! Non li ho!» «O quaranta marenghi o la vacca resta a me!» «Ho solo un po' di spiccioli. Prendi questi. Adesso vado dalla Polonia e mi faccio dare il resto. Intanto tu puliscila bene, che quando torno a prenderla deve essere di bella presenza!» Sandrone esce e Fagiolino pensa: «Adesso come faccio a dare la vacca a Sandrone e agli altri due, che ne ho solo una?»
Proprio in quel momento passa di lì l'avvocato e Fagiolino gli spiega cosa è successo e gli chiede cosa deve fare. «Hai preso soldi da tutti e tre?» «Sì, tutti e tre mi hanno dato la caparra e ora vengono a prendere la mucca. Ma io di mucche ne ho solo una, come faccio?» L'avvocato pensa un po' e poi dice: «Le conviene fare il matto. Quando vengono a prendere la mucca, lei risponda: Mi... Ma...» E gli spiega come deve fare.
Nella terza scena arriva il fattore: «Questo è il denaro. Mi dia la mucca.» Fagiolino: «Mi?» Fattore: «Non si ricorda che poco fa le ho dato i soldi per comperare la mucca?» Fagiolino: «Ma?» Fattore: «Le ho dato il resto e ora voglio la mucca!» Fagiolino: «Ma?» Fattore: «Che sia diventato matto? Meglio lasciargli la mucca e la caparra, poveretto. Così si curerà.» Esce il fattore, entra il contadino: «Sono venuto a prendere la mucca. Ecco i soldi.» Fagiolino li prende, poi dice: «Mi?» «Dammi la mucca!» «Ma?» «O dio, sarà mica diventato matto! Meglio che me ne vada. Pazienza se perderò un po' dei miei soldi. Li userà per curarsi. Fortunato me che matto non sono!» Esce il contadino, entra Sandrone: «Sono venuto a prendere la vacca!» «Mi?» «Non fare lo stupido! Ecco i soldi e dammi la mia vacchina! » «Ma?» «Fagiolino, poverino, è diventato matto...» e se ne va. Ed ecco entrare l'avvocato: «Dunque, Fagiolino, sono venuto a riscuotere la mia paga: ha funzionato il mio consiglio?» «Mi?» «Veh, Fagiolino, sono stato io che ti ho insegnato...» «Ma?» «Non fingere più, dammi i miei soldi e non se ne parli più!» «Ah, tu vuoi i soldi per avermi insegnato a imbrogliare i poco furbi! lo ti pago con questo!» Prende il bastone e lo rincorre mentre scappa.
Mentre la gente applaudiva e rideva, il burattinaio uscì dalla baracca con Fagiolino e Sandrone infilati nel braccio, che ringraziarono invitando a lasciare nel piatto qualche soldino. Qualcuno, invece dei soldi, offrì un uovo.
A casa domandai a mio padre che cosa era la caparra e lui mi spiegò come si facevano i contratti: non c'era bisogno di firmare carte, bastava la parola. Quando era versata la caparra, l'impegno era preso da tutti e due. Se il compratore si pentiva, perdeva la caparra. «Hai dato anche tu la caparra al signor Calisto per la casa?» gli domandai. «Questa casa non l'abbiamo comperata» mi spiegò, <L'abbiamo in affitto: la casa è sempre sua, noi paghiamo per abitarvi.» Me ne andai a letto pensando ai burattini e sognai un altro spettacolo, inventato da me. |
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